Il SARS-CoV-2 come spartiacque: un prima e un dopo per quel che riguarda gli ultimi secoli della nostra storia. La storia, peraltro, di un’umanità fragile
Di: Pietro Enrico Bossola
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La comparsa del SARS-CoV-2 ha creato un vero spartiacque: un prima e un dopo, almeno per quel che riguarda gli ultimi secoli della nostra storia. Siamo sempre stati abituati a eventi catastrofici di ordine naturale o legati a guerre mondiali, ma nessuno di questi ha messo drasticamente in discussione l’assetto naturale e umano in cui siamo inseriti. Dobbiamo tornare alle origini della civiltà per ricordarci del Diluvio Universale, narrazione di un accadimento che gli uomini, forse, non hanno mai vissuto o di cui non hanno memoria.
Oggi, nell’epoca della pandemia, tutti si sentono coinvolti per le problematiche più o meno gravi che si susseguono a livello individuale, di comunità, di rapporti tra gli Stati e altro. La pandemia è un evento che ha sicuramente scardinato i nostri stili di vita e di produzione. Ci ha lasciato più soli, inquieti e preoccupati. È chiaro a tutti che non ci sono soluzioni già sperimentate a cui riferirsi. E mentre si sono formate fortune per alcuni, per altri non vi sono state che disgrazie. Come al solito, del resto, nei disastri non c’è mai giustizia.
Connotati localizzabili e pericoli riconoscibili
È vero che i governi vanno a tentoni, creando anche confusione, e che la scienza mostra ciò che non ha mai negato. Infatti, essa lavora per incrementare il sapere, ma non ha mai detto di possederlo del tutto; anzi, se possiamo affermare qualcosa è che la scienza studia quello che non conosce. E ciò, naturalmente, con il bagaglio che ha accumulato nei secoli e con la disciplina e il rigore che l’hanno sempre contraddistinta. Abbiamo visto alcuni suoi rappresentanti essere “umani, troppo umani”, ma questo fa parte delle ricorrenti miserie che accadono quando siamo nell’agone pubblico.
Siamo preoccupati dell’ultima scelta governativa che forse arriverà o forse no. Ne vediamo la ricaduta economica che potrebbe abbattersi sulle nostre spalle. Ciononostante, fatichiamo a riconoscere e a tenerne conto del peso universale – o per lo meno generale – che questo evento produce. In fondo, il virus rende evidenti nuove aspetti dell’“iper-modernità”. Ve ne sono alcuni di cui si parla da anni, senza tuttavia trarne e comprenderne propriamente la forza drammatica. Fino a ora, per quanto grande fosse, una disgrazia aveva infatti connotati localizzabili: il terremoto, ad esempio, colpiva una zona precisa; quando un fiume esondava, lo faceva in un’area precisa; e persino le bombe atomiche e la catastrofica esplosione a loro collegata sono terminate in luoghi precisi.
Insomma, se c’era un pericolo in una zona del Mondo, si poteva pensare che in un’altra parte del pianeta si stesse, diciamo, tranquilli. Il Mondo, inteso come globo terrestre, è sempre stato un contenitore troppo grande per subire una minaccia globale. È solo con la bomba atomica che si è potuto pensare alla sua fine “per mano degli uomini”. Essa ha continuato a essere una minaccia concreta, ma è rimasta tale: una minaccia.
In ogni caso, la bomba atomica è, lo ripetiamo, qualcosa di preciso: è un ordigno, un oggetto che necessita di un aereo o di un missile per essere trasportato. E, per divenire operativa, ha bisogno di una grande organizzazione di uomini. Il pericolo è sempre stato riconoscibile o, per lo meno, abbiamo sempre potuto fare mente locale su ciò che appariva. C’era un’evidenza, se ne potevano tracciare i contorni. Poi, però, è arrivato il tempo dell’invisibile, il tempo del SARS-CoV-2.
SARS-CoV-2: il tempo dell’invisibile
Il SARS-CoV-2 è un virus che, in quanto tale, sfugge alla vista. Per l’appunto, non sono in pochi a non credere alla sua esistenza. Certo, altre cose sono invisibili: cosa muova la finanza, ad esempio, non è dato saperlo sempre con certezza. L’insieme di concause talvolta indefinibili possono influenzare capitali enormi, creando all’occasione crisi devastanti, come abbiamo visto, che lasciano sorpresi anche gli operatori del settore. Possiamo comprendere da ciò come l’astrazione sia la cifra del nostro tempo. Queste cose le abbiamo sempre sapute, ma rimangono nei nostri discorsi e pensieri come un qualcosa di rimosso. Un breve inciso: in psicoanalisi, il rimosso è ciò che diciamo o che pensiamo, ma che non prendiamo in considerazione. Affermiamo qualcosa, ma è come se non l’avessimo detto.
Le lotte legate ai cambiamenti climatici e allo sfruttamento dell’energia ci dicono una cosa precisa: la vita del genere umano nella sua totalità è messa in discussione. Questo, però, non vogliamo sentirlo. Tutti ne parlano, ma non si coglie la portata di quanto detto. Come stiamo facendo con il SARS-CoV-2: non ci diciamo che tutto il mondo è, appunto, messo in discussione.
Sarebbe auspicabile avere una politica unitaria intorno a questo essere invisibile, diffuso ormai dappertutto, ma ciò è impossibile, perché nel mondo siamo tante genti divise. Tuttavia, questa situazione mostra che non c’è una via di fuga personale né gruppale: tutti dobbiamo concorrere, altrimenti non ce la si fa. Dobbiamo agire, in altri termini, come genere umano. Forse i vaccini potranno risolvere il problema, ma il punto è che, ora come ora, non ci danno la garanzia assoluta di affidabilità.
Senza via di fuga
Viviamo in un’epoca senza via di fuga. Non possiamo fuggire dal mondo. Preferiamo parlare del pranzo di Natale, piuttosto che riflettere sulla sensazione di pericolo indotto da miliardi di esseri invisibili che possono incidere sulla vita di ognuno di noi. La nostra è l’epoca dell’angoscia, perché temiamo di non essere in grado, di non avere gli strumenti per affrontare una sfida globale. Una sfida in cui non è in gioco la vita personale, bensì quella di tutti.
Non c’è il 7°cavalleria pronto a salvarci, perché anche il 7° cavalleria è in pericolo. Ci siamo Noi, un Noi che acquista tutta la sua importanza solo a patto di riuscire a pensarci come esseri fragili, deboli non solo sul piano di tanti soggetti presi nella loro individualità, ma come genere umano. Forse, dobbiamo ripensare la nostra vita e la nostra felicità in altri termini: non a partire dalle nostre presunte sicurezze, dai nostri possibili progressi o dalla fiducia cieca nel futuro, convinti che sarà necessariamente migliore del presente, ma dal fatto che siamo esseri esposti, come genere umano, a una profonda fragilità. Dobbiamo arrivare a comprendere che non siamo noi i padroni del Mondo e della natura.
Il Dottor Pietro Enrico Bossola è psicoanalista e psicoterapeuta, membro della SLP (Scuola Lacaniana di Psicoanalisi) e dell’AMP (Associazione Mondiale di Psicoanalisi). È docente dell’Istituto Freudiano per la formazione di psicoterapeuti e partecipa al Centro di Ricerca “Tiresia” dell’Università degli Studi di Verona. Collabora con diverse associazioni che si occupano del pensiero filosofico e psicoanalitico e del disagio nelle scuole. È Vice Presidente dell’Associazione Qui e Allora – Curare e Prendersi Cura Onlus, che si occupa di curare i pazienti integrando competenze mediche e psicologiche. Lavora anche via piattaforme per videochiamate, e vive a Milano.