L’angolo di Eupalla, oggi, è tutto per Diego Armando Maradona, spentosi ieri all’età di 60 anni

Di: Andrea Panziera

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Era il 16 settembre 1984 , la prima di Campionato. La stagione avrebbe incoronato il grande Verona di “Schopenhauer” Bagnoli, la cui modestia e ritrosia era inversamente proporzionale alla capacità di leggere le partite e adottare la strategia giusta per vincerle. Quella data coincideva con l’esordio di Diego Armando Maradona e tutti sanno come finì in quell’occasione: un sonoro 3 a 1 per l’Hellas, che proprio da quella gara avrebbe iniziato il suo cammino trionfale verso lo scudetto.

Io quel giorno ero allo stadio e di quell’incontro ricordo ancora tutto. Il lunedì seguente, un improvvido giornalista sportivo titolò “Il re è nudo”, parlando di naufragio del campione argentino. Ebbene, non aveva capito nulla e come lui tutti i detrattori del Pibe de oro.

Bagnoli, novello Ulisse, aveva invece compreso una cosa fondamentale: che quel match si poteva vincere in un solo modo. Nel calcio, l’inganno, se si escludono gli illeciti, consiste quasi sempre nel creare un’illusione, far credere agli avversari che si giocherà 11 contro 11, ma studiare a tavolino la strategia migliore per neutralizzare, qualora sia presente in campo, il genio della lampada altrui. Rendere inoffensiva, cioè, quella figura che può in qualsiasi momento inventare la prodezza risolutiva.

Bagnoli chiese allora ad Hans Peter Briegel, terzino fluidificante tedesco dal fisico possente, di adottare la tattica del francobollo, togliendo letteralmente l’aria a Maradona. La mossa riuscì alla perfezione, ma insegnò al neo-partenopeo che nel nostro torneo spesso avrebbe avuto trattamenti simili, a volte molto più cattivi, agonisticamente parlando.

Maradona, pensaci tu

La storia ci ha raccontato il seguito: trionfi nazionali e internazionali, gol da favola rimasti incancellabili nella memoria di ogni amante del calcio, reparti difensivi scartati e ridicolizzati come fossero goffi birilli o paletti da slalom, portieri uccellati da metà campo perché incautamente avanzati di qualche metro rispetto alla linea di porta, calci di punizione telecomandati verso l’incrocio dei pali e persino l’astuzia truffaldina di un gol memorabile segnato col pugno facendo credere di aver colpito il pallone di testa.

Alla infinita grandezza di uno dei più grandi campioni di tutti i tempi si può perdonare anche questo, perché, vedendolo giocare, nell’animo del tifoso avversario coesistevano invidia e ammirazione, incredulità e rabbia. Alla fine, però, non potevi fare a meno di inchinarti di fronte al gesto estetico sublime che quasi nessun altro era in grado di inventare o persino di immaginare.

“Maradona, pensaci tu” cantavano in coro i tifosi de Napoli; e in effetti nessun top player è stato determinante come lui. Se la sua squadra era in difficoltà, l’unica chance era passargli la palla: quasi certamente avrebbe creato qualcosa, confezionando probabilmente dal nulla un’occasione da gol.

Per chi non ha avuto la fortuna di ammirarlo dal vivo e non può comprendere cosa abbia significato la sua esistenza per tutti gli appassionati dell’ars pedatoria, mi piace ricordare la scritta a lui dedicata e rivolta ai defunti apparsa sulle mura del cimitero di Napoli: “Non sapete cosa vi siete persi!

Quando una stella muore
che brucia ma non vuole
un bacio se ne va
l’universo se ne accorgerà
quando una stella muore, fa male.