La Banca Mondiale aveva previsto la diffusione pandemica del Coronavirus. Riportate in un documento finanziario del 2017 le stime sul contagio, sulla sua durata e sulla risposta degli Stati
Di: Simone Massenz
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Nel 2017, la Banca Mondiale ha previsto la diffusione pandemica del Coronavirus. Non è una fake news né una teoria complottista, ma solo quanto riportato da un documento finanziario ufficiale e pubblico noto a tutti – o quasi – gli economisti del mondo (per leggerlo, clicca qui). Il documento, composto da un prospetto informativo riguardo i cosiddetti pandemic bond, in ben 386 pagine informa i potenziali investitori in merito ai rischi e alle caratteristiche del titolo che avrebbero successivamente acquistato.
Sono tre in particolare i punti che catturano la nostra attenzione: da un lato, la stima delle probabilità dello scoppio di una pandemia entro il 15 luglio 2020; dall’altro, quella di una simulazione inerente al tempo di risposta alla sua diffusione da parte della comunità internazionale; infine, la previsione della sua durata complessiva.
1) La probabilità
Secondo la Banca Mondiale, la probabilità minima dello scoppio di una pandemia entro il 15 luglio 2020 superava il 60%. Per la precisione, era stimata a ben 64,5% (Figura 1). Tra le cause inserite – 5 in totale – entrava anche il Coronavirus. Era questo il motivo di interessi annui particolarmente alti: l’evenienza, ritenuta molto probabile, rendeva elevato il rischio per i sottoscrittori.
Proseguendo nella lettura, è possibile notare l’inserimento di una mappa (Figura 2). La Banca Mondiale ha indicato le zone con una più alta probabilità di inizio di pandemia da Coronavirus entro la prima metà del 2020. Fa parte della zona rossa anche Hubei, ovverosia la provincia da cui ha effettivamente avuto origine il contagio.
2) La risposta al Coronavirus
Una domanda sorge spontanea: se la World Bank riteneva alta la probabilità dello scoppio di una pandemia a partire da quella specifica zona della Cina, per quale motivo i Paesi – sia direttamente coinvolti che non – non hanno agito con maggiore tempestività?
Una notevole quantità di simulazioni ha permesso alla Banca Mondiale di stimare il tempo di risposta alla pandemia da parte della comunità internazionale. L’ipotesi più ottimista asseriva che la comunità avrebbe preso provvedimenti seri entro 34 giorni dall’inizio della diffusione; l’ipotesi più plausibile, invece, ne riportava 156; in ultimo, quella peggiore ne contava ben 417 (Figura 3).
Di fatto, il primo caso di Coronavirus in Cina risale al 17 novembre 2019 – non all’8 dicembre, come dichiarato dal Governo cinese. Quindi, il 31 dicembre la Cina informa l’OMS e l’11 gennaio viene confermato il primo decesso dovuto al Covid-19. Il secondo sopraggiunge due giorni più tardi in Thailandia. La chiusura di Hubei (23 gennaio 2020) rappresenta il primo provvedimento serio preso dall’inizio del contagio. Mentre la stima più ottimista della World Bank si aggirava intorno ai 34 giorni, quelli effettivi sono stati 66, ossia quasi il doppio – benché inferiori rispetto all’ipotesi più plausibile.
Sempre il 23 gennaio, dopo due mesi dal primo avvertimento cinese – e, lo sottolineiamo, nonostante la consapevolezza delle previsioni effettuate dalla Banca Mondiale -, l’OMS ritiene sia ancora “troppo presto” per dichiarare lo stato di emergenza. Stato di emergenza infine riconosciuto il 30 gennaio 2020, quasi un mese dopo la registrazione del primo decesso. Nondimeno, non viene ancora approvata alcuna restrizione sui viaggi (internazionali).
Il Coronavirus in Europa
Il 30 gennaio, in Italia si registrano i primi due casi di Coronavirus. Lo Stato blocca i voli da e per la Cina. Ciononostante, da ormai una settimana si riscontrano decine di contagi in vari Paesi. L’Europa, oltre alla coppia italiana, ne conta altri tre in Francia. Tra il 4 e il 9 marzo 2020, l’Italia prende le prime misure drastiche atte a bloccare la diffusione del virus. Il tempo di risposta del nostro Paese si è dunque aggirato attorno ai 34 giorni, omologandosi alle previsioni più ottimiste della World Bank.
In breve, la Banca Mondiale, all’interno del documento, ha siglato una sorta di assicurazione con le banche e i grandi gestori patrimoniali. Agli investitori sono stati proposti due titoli dall’elevata rendita annua: il 7% per il titolo meno rischioso, l’11% per la controparte più a rischio. I sottoscrittori non sarebbero andati in perdita se la previsione della pandemia non si fosse avverata entro 3 anni – appunto, entro il 15 luglio 2020. Questa era la condizione primaria. In caso contrario, la World Bank avrebbe sfruttato il capitale – 320 milioni di dollari – per sostenere la lotta alla diffusione nei Paesi più poveri. In altri termini, ciò significa che chi ha sottoscritto la Classe di bond più a rischio ha perso tutto.
3) La durata
La Banca Mondiale ha stimato altresì una durata complessiva della pandemia: la previsione più ottimista si aggira intorno al mese; la previsione definita “più realista” è di 13 mesi; quella più pessimista riporta 6 anni (Figura 4). In considerazione del tempo di reazione della comunità internazionale, è lecito pensare che, con l’approvazione di misure drastiche, la diffusione possa essere arrestata definitivamente nel giro di 10-11 mesi. Ovviamente, supponendo che ogni Stato prenda – e segua – gli stessi provvedimenti.
Tutto ciò non risponde alla domanda che ci siamo posti: se il rischio di diffusione risultava tanto elevato, perché la comunità internazionale – e non di meno l’OMS – non ha agito tempestivamente? Non ci riferiamo chiaramente a un blocco dell’epidemia; considerando la sua zona d’origine, fermarla sul nascere sarebbe stato alquanto complicato. Ci riferiamo piuttosto allo stato del sistema sanitario, caratterizzato da ospedali, personale e strutture prossimi al collasso. Se ci fosse stata sin da subito chiarezza, forse saremmo stati in grado di attrezzarci al meglio e di affrontare l’evenienza con prontezza e organizzazione adeguate.