Di: Andrea Panziera
Ormai è evidente che, tra un metaforico prelievo forzoso del sangue degli italiani e una ricusazione social dell’italianità della Nutella con rapido dietrofront – presa di posizione questa corroborata da un immancabile primo piano dell’adipe esibito come sinonimo di “sostanzialità dell’essere umano” -, l’argomento MES è la testa d’ariete con cui si tenta di scardinare la stabilità dell’attuale Esecutivo. Una stabilità di per sé già particolarmente precaria, tra l’altro.
In forza del presunto tradimento del popolo italiano, nonché del proclamato rischio di veder utilizzati i sudati risparmi nazionali per salvare le banche galliche e teutoniche, si preannuncia nientemeno che una guerra parlamentare; e viste le premesse e il sentiment diffuso nel Paese, non si esclude che la cosa possa dare una spallata all’attuale maggioranza e condurre in breve ad elezioni anticipate. Mi astengo come sempre da qualsivoglia giudizio di merito e finanche di metodo politico; ognuno la pensi come meglio crede. Invece, intendo concentrarmi sui numeri, come sempre arbitri imparziali di qualsiasi valutazione.
La parola ai numeri
Quanto contribuisce l’Italia al MES?
La nostra quota è pari al 17,8%. Quella tedesca è del 26,9% e quella francese del 20,3%. Ciò significa che, in caso di crisi di un qualsiasi Paese, il nostro apporto sarebbe in ogni caso minore di quello di Francia e Germania. A prescindere dal destinatario degli aiuti erogati, ovviamente.
Chi ha realmente beneficiato del salvataggio della Grecia?
A tal proposito sono state date cifre ad libitum, calcando la mano ad ogni dichiarazione. Addirittura si è arrivati a dire che dei 200 miliardi prestati dal MES il 95% sarebbe servito per tirar fuori dai guai le banche franco-tedesche, le quali per speculare avevano improvvidamente investito in Titoli di Stato ellenici. In realtà, tutte le banche dell’Eurozona hanno avuto la loro parte di aiuti, incluse quelle italiane. La loro sommatoria è pari a 56 miliardi, la parte destinata agli Istituti di Credito franco-tedeschi ammonta a 36 e 8 sono quelli ricevuti dalle nostre banche. Tenendo conto delle rispettive quote di intervento, il nostro esborso effettivo netto è stato pari a circa 2,7 miliardi – non 60, come incautamente affermato da qualcuno.
Ma il MES è solo un pretesto?
Mentre scrivo, mi ritorna alla mente una vecchia massima di Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia”. Dunque, mi chiedo: non è che tutta questa manfrina sul MES – la costante ed insistente reiterazione della diceria che noi, in caso di necessità, non potremmo chiedere prestiti perché non abbiamo i conti in ordine – nasconda altro? Magari semplicemente un pretesto per raggiungere un obiettivo che al momento non conviene palesare?
Facciamo un breve passo indietro. Ogni Paese può accedere al Fondo Salva Stati con l’unica clausola che il suo debito sia sostenibile. La condizionalità non significa assolutamente un rapporto debito/PIL sotto il 60%. Questo giudizio si baserà perciò su molte variabili, non solo strettamente economiche, ma anche politiche.
Ora, considerata tale premessa, sembra lecito pensare che qualcuno voglia andare allo scontro con le Istituzioni europee su questo tema. Ma quel qualcuno conoscerebbe già in anticipo la loro risposta, perché ben si sa che tutti gli altri Stati dell’Eurozona hanno una posizione differente dalla nostra. A quel punto, di fronte ad un nostro conclamato isolamento, quale miglior giustificazione per veicolare l’idea dell’Italia vittima delle Cancellerie del Nord e di tutti i possibili “poteri forti planetari”? L’uscita dalla Moneta Unica non sarebbe più un tabù e in nome del ritrovato amor patrio quello che oggi è solo un bisbiglio diverrebbe realtà. Sulle conseguenze non mi pronuncio; lascio alla fervida fantasia dei lettori immaginare le peggiori possibili.