di Andrea Panziera
Un mio caro amico durante una nostra recente conversazione telefonica ha fatto una affermazione forte che alle prime mi ha lasciato un po’ interdetto ma subito dopo ha provocato una riflessione da cui scaturisce questo articolo: “io metterei in galera per primi non gli evasori ma i politici che hanno promesso la crescita economica senza mai contribuire a realizzarla”. Conseguenza: gli evasori agirebbero così per stato di necessità.
In realtà nel nostro Paese gli evasori sono sempre stati un esercito piuttosto numeroso e mai in declino, a prescindere dall’andamento del PIL. L’opinione che per sopravvivere bisogna essere un po’ più furbi degli altri, quindi pagare meno tasse possibile, è vecchia almeno quanto la nascita della Nazione e al momento nessuna politica è riuscita a scalfirla. Il problema è che l’ammanco di 100 e passa miliardi di entrate ogni anno è difficilmente sostenibile per qualsiasi Stato; figuriamoci per uno come il nostro che ha un Debito pubblico superiore a 2.400 miliardi. Riguardo poi la mancanza di crescita e le attribuzioni di responsabilità , fare di ogni erba un fascio cozza contro il buonsenso prima ancora che contro i numeri.
Fino ai primi anni ’90 il PIL è stato, seppur di poco, superiore al Debito pubblico ma la ricerca sconsiderata del consenso ha cagionato i primi dissesti del Bilancio statale e con estrema fatica, a prezzo di svalutazioni della moneta e di prestiti contro garantiti dalle nostre riserve auree, siamo riusciti lentamente a rimetterci in carreggiata e ad entrare con pari diritti e dignità nell’euro. Nel 2000 e nel 2007-2008 il rapporto debito/PIL era poco lontano dalla parità ma nel 2011 la situazione è precipitata e siamo stati ad un passo dal default finanziario. Ad ogni crisi, i tecnici o “i professoroni” (prima Ciampi e poi Monti) sono stati chiamati a mettere toppe ai buchi lasciati dai Governi in carica ed a restituire un minimo di credibilità al nostro Paese. Questa è la storia e i numeri, nella loro impietosa neutralità, stanno lì a confermarla.
Rebus sic stantibus, chi parla a sproposito di carenza di misure (leggi investimenti pubblici massicci e drastica riduzione fiscale) volte ad incentivare la crescita dovrebbe fare quantomeno un esame di coscienza e verificare in quali condizioni, a causa di scelte di politica economica demenziali, ha lasciato i Conti della Nazione. La teoria che l’aumento della spesa dello Stato tout court, senza una sua riqualificazione, sia la leva per far crescere non solo il PIL in termini nominali ma anche il suo tasso, è smentita dalla nostra Storia e dalle esperienze di tutti gli altri Paesi. Per quanto poi concerne un taglio drastico della imposizione fiscale, la più banale ma ineludibile domanda è: chi la finanzia, ovvero, dove si trovano i soldi?
Ogni mese ci presentiamo sui Mercati sperando di convincerli ad acquistare i nostri titoli: che tasso di interesse saremmo costretti a pagare in caso di scelte così azzardate ? Argentina docet ! Purtroppo, per come siamo messi, la strada percorribile è una sola: reperire risorse riducendo in modo selettivo la spesa, partendo da quella c.d. “improduttiva”. C’è solo un piccolo ma spesso insormontabile problema: che tagliare la spesa è difficile e impopolare, perché da qualsiasi parte si inizi si toccano interessi e rendite di posizione, quindi voti, e solo chi non teme di essere riconfermato nella prossima tornata elettorale è in grado di farlo.