Un percorso attraverso la storia della fisica, per conoscere la fisica che ha fatto la storia
Di: Chiara Tomasella
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La prima tappa dell’itinerario che si apre davanti al lettore è rappresentata dal principio di relatività… di Galileo. Per quanto la tentazione di correre subito alle conclusioni sia forte, infatti, prima di arrivare all’annus mirabilis – quel 1905 in cui uscirono i quattro articoli fondativi della fisica moderna – c’è qualche premessa da stabilire.
La prima tra tutte è che il percorso del concetto di relatività parte dalla constatazione che un sistema di riferimento inerziale è indistinguibile da un sistema in quiete; che ogni tipo di moto è tale perché considerato rispetto ad un osservatore; che, infine, anche il concetto di stasi si lega al punto di vista da cui è definito.
Spiegando meglio: se state leggendo quest’articolo comodamente seduti su un divano milanese, pur non accorgendovene, vi stareste muovendo a 1175km/h rispetto al centro del pianeta, ovvero alla velocità di rotazione terrestre misurata sul vostro parallelo. A sua volta, nostro pianeta e l’intero sistema solare ruotano intorno al centro della Via Lattea a 200km/sec, e noi con loro! Eppure, non ce ne accorgiamo affatto*.
* Gli effetti della rotazione terrestre, ovviamente, sono visibili, ma “girare” insieme alla Terra non comporta le stesse esperienze sensoriali che ci dà un giro di giostra, ad esempio.
La relatività galileiana, dunque, ha molto a che fare con lo spazio, mentre il tempo non è un fattore chiave nell’analisi del “gioco delle velocità”. Per tirarlo in ballo, occorrerà aspettare soltanto tre secoli.
La velocità della luce
Una delle conseguenze del principio di relatività galileiano consiste nella possibilità di conoscere il valore della velocità di un oggetto osservato da due punti di vista diversi: per esempio, un’onda che si allontana da una barca che a sua volta si sta muovendo verso il largo sarà apparentemente più veloce per un marinaio imbarcato di quanto sarà per un bagnante che sta correndo verso l’acqua.
C’è tuttavia una velocità che non muta, da dovunque la si guardi: è la costante universale c, pari a circa 300.000km/sec. Un cerbiatto che fugge dalle luci dei fari di un’auto che stia andando in retromarcia non vedrà rallentare il fascio luminoso, anzi: non vi sarà alcuna differenza fra la percezione dell’animale e quella del guidatore. Ciò fu dimostrato dall’esperimento di Michelson e Morley del 1887: fino a quella data, si era ipotizzato che esistesse un mezzo di propagazione specifico per la luce, ovvero l’etere luminoso; a questo punto, tale assunto venne scartato, ma sorse contemporaneamente un dilemma.
Come comporre la nuova scoperta e il principio di relatività di Galileo?
Albert Einstein
Con la teoria della relatività ristretta, Einstein non stravolge quanto previsto da Galileo: semplicemente, rende la legge di composizione delle velocità un caso particolare, valido quando le velocità in questione non sono prossime a quella della luce nel vuoto. Einstein, inoltre, fa rientrare nel ragionamento la componente temporale, non considerata da Galileo, determinando il fatto che per un corpo in movimento a velocità vicine alla costante c il tempo passa più lentamente rispetto ad un corpo in quiete o più lento.
Il lavoro di Einstein, tuttavia, non si conclude qui. Nei dieci anni seguenti all’elaborazione della teoria della relatività speciale, infatti, il fisico di Ulma si concentrò sull’estensione di quanto aveva scoperto valere per sistemi di riferimento inerziali anche per corpi in accelerazione e decelerazione, finendo per dare una risposta anche all’apparente contrasto tra la velocità finita di c e la sussistenza di un’interazione gravitazionale capace di agire a qualsiasi distanza con effetto immediato.
La relatività generale
Nel descrivere lo spazio-tempo come curvato dalle masse, Einstein risolve il problema dell’interazione gravitazionale: essa avviene alla velocità massima di c, per cui se – per assurdo – un potente mago riuscisse a far scomparire il Sole in un istante, noi continueremmo a vederlo per altri otto minuti.
Prima di subire gli interessanti e mortali effetti di un tale gioco di prestigio, si capisce.
Per quanto riguarda la componente temporale degli effetti della presenza di una massa sullo spazio-tempo, più vicini ci si trova ad un pozzo gravitazionale e più rallentato sarà il trascorrere delle ore; il luogo più estremo in cui ciò accade è l’orizzonte degli eventi di un buco nero, dove il tempo sembra congelarsi.
E andando oltre?
Prendendo in esame la singolarità, ci si scontra con il limite della fisica attuale: al presente, infatti, non è ancora stata elaborata una teoria quantistica della gravità, l’orizzonte di ricerca più avanguardistico in questo campo. Il libro di Simone Baroni ci porta alla soglia di quest’ulteriore sfida, consegnandoci gli strumenti per acquisire una consapevolezza di base sulle scoperte già disponibili.
Conclusioni
Nelle 175 pagine di Capire il tempo e lo spazio, il lettore potrà trovare uno specchio delle conoscenze utili per avere un’idea dello sviluppo della teoria della relatività; per la comprensione, non sono richieste preconoscenze ma la sola curiosità di esplorare un argomento tanto complesso quanto affascinante.
L’obiettivo primario è far chiarezza senza spaventare, accompagnando l’esposizione teorica ad una raccolta di esempi e visualizzazioni grafiche: come risorsa bonus, sono inoltre accessibili molteplici documenti online, una sorta di “espansione” del libro liberamente condivisa sul web.
Dello stesso autore: A cavallo di un protone.
Immagine di copertina a cura dell’autrice