Domande, risposte, dubbi e perplessità sulla flat tax o tassa piatta, ovvero l’isola non trovata. L’isola che “non c’era e mai nessuno l’ha trovata”
Di: Andrea Panziera
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Cinquantuno anni fa usciva il terzo album di Francesco Guccini, dal titolo “L’isola non trovata”, al cui interno era contenuta l’omonima canzone.
“Il Re di Spagna fece vela // Cercando l′isola incantata // Però quell’isola non c’era // E mai nessuno l′ha trovata”.
Quando si parla di flat tax, ovvero di “tassa piatta” – e ultimamente il tema si accompagna alla rinvigorita discussione sulla necessità di un’ampia riforma fiscale -, ho come la sensazione che l’approdo sarà lo stesso. O, meglio, che i suoi fautori inseguano una chimera i cui benefici sono evidenti solo nella loro fantasia. Questa mia affermazione prescinde da ogni considerazione riguardo ai criteri di equità e giustizia sociale che l’introduzione di un’aliquota uguale per tutti i contribuenti comporterebbe (rispetterebbe?).
L’impatto di un’aliquota unica
In via del tutto preliminare, quando si parla di obiettivo di riduzione della pressione tributaria, il discorso non può che essere contestualizzato con la situazione economica del Paese. Ciò non significa che l’obiettivo non debba essere posto fra le ipotesi di lavoro, tutt’altro! Ma la questione è differente: in che misura ce lo possiamo permettere senza rischiare di provocare una catastrofe nei Conti Pubblici.
L’Italia ha il rapporto Debito/PIL e Deficit/PIL più elevato dell’Europa a 27, Grecia esclusa. I dati macroeconomici del 2021 sono sì abbastanza confortanti, ma non tali da incidere in modo significativo sui due parametri precedenti. Anche i soldi provenienti dal Next Generation EU sono per la parte maggioritaria dei prestiti. A tasso molto agevolato, certo, ma che comunque dovremo restituire.
Mi chiedo – perché non conosco studi avvalorati a tale proposito – quale sarebbe l’impatto in termini di mancato gettito causato dall’abbandono della progressività fiscale a favore dell’introduzione di una aliquota unica, il cui range dovrebbe collocarsi fra il 18%-20% e il 25%-30%.
Mi rendo perfettamente conto che potrebbe essere politicamente molto compromettente esibire numeri non proprio rassicuranti, se veritieri. Ed è oggettivamente molto più redditizio vendere un sogno anti-vessatorio. Tuttavia, ritengo che presentare un progetto corredato da numeri, al fine di poterne valutare fattibilità e credibilità, costituirebbe indubbia prova di onestà intellettuale.
Tassa piatta: domande, risposte, dubbi e perplessità
In mancanza di ciò, mi limito a prendere in esame alcune affermazioni dei “taxpiattisti”, che a onor del vero mi lasciano alquanto perplesso. Alcuni di loro imputano la nostra mostruosa evasione fiscale, il cui ammontare è verosimilmente ben superiore ai 200 miliardi annui, proprio alla elevata pressione tributaria. Ho già argomentato in articoli precedenti che l’assioma sostenuto da Laffer, il quale fa dipendere il volume di entrate dall’aliquota di imposta, non ha trovato in quei Paesi dove è stato applicato riscontri probanti. Spesso, l’unico risultato è stato quello di minare la solidità delle Finanze statali. Soprattutto in Italia, ma non solo, per chi non paga le tasse, non sarà la diminuzione di qualche punto di aliquota a convincerlo del contrario.
Altra questione. Stante l’acclarata impossibilità di accrescere il deficit, con quali risorse verrebbe finanziato questo provvedimento? Ammesso e non concesso che sia in questo modo possibile ottenere un effetto neutro sul gettito complessivo, l’unica via percorribile appare quella di agire sulle detrazioni d’imposta e deduzioni d’imponibile. Oppure, eventualmente, di innalzarne la franchigia. Per intenderci, rivedere in senso molto più restrittivo le cosiddette “tax expenditures”.
Domanda: che tipo di benefici tagliare e a quali categorie di operatori/cittadini? Provate a pensare agli effetti di una drastica riduzione della detraibilità delle spese sanitarie, delle coperture assicurative deducibili, degli interessi passivi sui mutui. O provate a pensare a provvedimenti analoghi sulle fasce di reddito medio-basso. Se poi le tax expenditures riguardassero esclusivamente i percettori di redditi medio-alti, i dati disponibili confermano che le maggiori entrate sarebbero invero irrisorie. Non compenserebbero in alcun modo, cioè, i mancati introiti cagionati dalla flat tax.
Un pizzico, un briciolo, ma sempre troppo
Pongo quindi un’ulteriore domanda. Perché, al posto di elucubrare su progetti che ad ogni evidenza sembrano del tutto inapplicabili al nostro contesto, non ci si concentra sul recupero di base imponibile con una più incisiva azione sulle molteplici forme di evasione fiscale?
Il passo in avanti appena compiuto a livello di concertazione in sede europea nei riguardi delle multinazionali che sinora hanno pagato poco o nulla è sicuramente importante, anche se troverà ostacoli ed è ben lungi dall’essere risolutivo in termini di maggiori entrate. L’esperienza di questi anni e l’avanzare della tecnologia, che oggi consente di risalire con indiscutibili possibilità di successo agli attori di ogni transazione finanziaria, dovrebbero consentire di far emergere molte attività sommerse e relativi titolari, di facciata e reali.
Pavento un dubbio: per caso, la paura di perdere ampie fette di consenso può giocare un ruolo predominante nella volontà politica di procedere in questa direzione? Sicuramente, chi ha messo al centro del proprio programma di Governo questo tema raramente ha ottenuto un successo elettorale. E poi, diciamola tutta, “follow the money” è un’attività pericolosa: chi in passato ne ha fatto una bandiera ne ha pagato drammaticamente le conseguenze.
Suvvia, siamo comprensivi: anche i nostri rappresentanti parlamentari tengono famiglia; sarebbe troppo chiedergli di vestire i panni degli eroi o, più semplicemente, che avessero come unica stella polare delle loro decisioni l’interesse collettivo. Ma, a pensarci bene, sarebbe forse sufficiente un pizzico di demagogia populista in meno e un briciolo di competenza e onestà intellettuale in più. O no?