Situazione globale, situazione italiana, strumenti e risorse necessarie: è tempo di numeri (e di ulteriori risposte alle nostre domande)
Di: Andrea Panziera
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È tempo di numeri. Frase da interpretare in due possibili alternative: 1) qualcuno sta pubblicando le prime stime su quello che sarà l’andamento dell’economia mondiale nel 2020 e nel 2021; stime che, oltre alla nostra, includono il FMI col suo World Economic Outlook di aprile , la Banca d’Italia ed il nostro Ufficio parlamentare di Bilancio; 2) altri stanno letteralmente dando i numeri, ipotizzando spese senza limiti e coperture e l’abbattimento di qualsiasi barriera al deficit o al debito; in altri termini, soluzioni “patriottiche” un po’ avventuristiche per uscire da una crisi la cui fine appare tuttora lontana nel tempo.
I numeri del Globo
Con differenze non particolarmente marcate da un punto di vista quantitativo, tutti coloro che si sono cimentati in previsioni macroeconomiche concordano su alcuni punti. Anzitutto, il 2020 segnerà un ribasso del PIL a livello globale nell’ordine dei 3-4 punti percentuali. Un -6% circa per gli USA, un -7,5% per l’area Euro ed un range compreso fra il -8% ed il -10% per l’Italia. A salvarsi da questo cataclisma sarebbero alcuni paesi asiatici, Cina e India in primis, ma con una crescita inferiore al 2%.
Già nella seconda parte del corrente anno, ma soprattutto nel 2021, ci dovrebbe essere l’agognato rimbalzo generalizzato. La sua ampiezza sarebbe pari a un 4-6%, dato questo che non consentirebbe comunque di recuperare appieno le perdite di reddito pregresse. Tutto ciò ovviamente nell’ipotesi che non si presenti in autunno una seconda ondata del Coronavirus; in tal caso, tutte le cifre andrebbero riviste in senso decisamente meno ottimistico. È questo il quadro che si presume possa palesarsi nel panorama internazionale nei prossimi mesi.
I numeri dell’Italia
Veniamo ora ai problemi di casa nostra. L’assunto per cui la nostra situazione sia oggettivamente la peggiore fra tutti i Paesi dell’area UE è confermato dai numeri, quelli veri ed incontrovertibili. Lo era già da prima e la pandemia ha accentuato il gap. Anche se qualcuno tende a dimenticarlo, le eredità negative – passate e recenti – pesano molto di più in un corpo socio-economico piuttosto fragile e poco disposto ad accettare medicine amare o sgradevoli. Molto meglio continuare a vendere illusioni sotto forma di ricette improponibili, rimandando sine die un redde rationem che sarà sempre più doloroso.
Le discussioni di questi giorni sugli strumenti da approntare a livello comunitario per uscire dalla crisi non dovrebbero prescindere da un punto di partenza che è impossibile ignorare: al tavolo dei negoziati ci presentiamo come un contraente debole; battere i pugni sul tavolo facendo proposte irricevibili o brandire l’arma del ricatto rischia solo di isolarci, precludendo la formazione di alleanze con altri Paesi. Peraltro, elemento quest’ultimo indispensabile in trattative così delicate.
La dirò tutta: trovo semplicemente suicida la ventilata scelta di rinunciare, per motivi ideologici e fondati sul nulla, ai 36 miliardi dal MES senza condizionalità, col pretesto di puntare ad una posta ben superiore. Questi soldi ci servono hic et nunc: sono già disponibili e servono a far fronte alle conseguenze dirette e indirette di una emergenza sanitaria ancora presente. Gli altri, se va bene, arriveranno in estate, quando molte aziende saranno in una fase di vita terminale.
Quali altri strumenti?
Quali altri strumenti abbiamo a disposizione? I cosiddetti Coronabond, che tutti i Paesi del Nord Europa vedono come il fumo negli occhi? Oppure il Recovery Fund, che a parole sembra incontrare il favore dei più, ma i cui contenuti procedurali e operativi ad ogni riunione delle Istituzioni continentali assumono le sembianze del gioco del rimpiattino. L’Eurogruppo passa la palla al Consiglio, che a sua volta la butta alla Commissione, la quale si aggiorna all’incontro successivo, con il rischio che alla fine, di rimando in rimando, si arrivi al “tana libera tutti”. Anche riguardo alla professione di grande ottimismo sulle cifre mobilitate ci andrei piuttosto cauto: 500 miliardi, mille, millecinquecento, e vai!
Le risorse necessarie: come, da chi e con quali criteri?
Piccola e niente affatto marginale questione: come e da chi verranno fornite le risorse necessarie? E, soprattutto, con quali criteri verranno ripartite? Parte sotto forma di prestiti e parte a fondo perduto, già da noi assunta come “linea del Piave”? Relativamente alla seconda ipotesi, quale Governo avrebbe la forza di dire ai suoi elettori in Patria che a uno degli Stati membri vengono regalati quattrini? Lo stesso discorso vale nel caso in cui la garanzia sui prestiti erogati dal Recovery Fund alle singole Nazioni fosse di tipo collettivo, cioè in capo anche a tutte le altre. Nell’ipotesi che alla scadenza del prestito uno dei Paesi beneficiari non possa pagare il suo debito, i creditori potrebbero escutere le garanzie dagli altri, obbligati in solido a farvi fronte.
Ulteriore domanda. Come avrebbero reagito i nostri connazionali se 8 anni fa, per evitare il default finanziario ellenico, fossero stati chiamati a pagare una quota del Debito Pubblico greco? Allo stato delle cose, dei numeri e dei conti attuali, fra qualche anno potremmo trovarci nella stessa condizione di debitori a rischio insolvenza. Dubito che a Bruxelles qualcuno sia disposto ad accollarsi questo rischio senza alcuna condizionalità.
In realtà, sarà pur vero che anche i rigidi calvinisti del Nord conoscono la parabola del figliol prodigo e sicuramente non sono del tutto ostili al concetto di carità cristiana, o quantomeno a quello di solidarietà, come dimostra il loro consenso alla politica di intervento massiccio della BCE sui mercati volta soprattutto a tenere sotto controllo lo spread dei nostri BTP; pretendere però che prestiti a tassi bassissimi e scadenze lunghissime – che soprattutto grazie alla loro riconosciuta solidità e credibilità internazionale riusciremo ad ottenere dagli strumenti finanziari che le Istituzioni comunitarie alla fine metteranno in campo – diventino regalie mi sembra una pretesa destinata a ricevere solo risposte negative.
Titoli di Stato “patriottici”
Un’ultima considerazione su alcuni interventi in merito all’emissione di Titoli di Stato “patriottici”. Titoli riservati ai nostri concittadini risparmiatori, proposte avanzate da eminenti figure del mondo bancario e finanziario. In pratica si tratterebbero di obbligazioni a lungo termine con particolari vantaggi fiscali. Potrebbero addirittura prevedere benefici anche per quegli investitori che ancora detengono capitali all’estero.
Un’idea analoga era già stata avanzata qualche anno fa da Karsten Wendorff, economista della Bundesbank. Questi affermava che la questione spread/debito pubblico poteva essere risolta con la creazione di un Fondo “salva – Stato”, finanziato con il risparmio degli italiani attraverso speciali titoli del Tesoro “di solidarietà” sottoscritti forzosamente dai risparmiatori nella misura del 20% del loro patrimonio netto. Una domanda: l’adesione sarà forzosa, come suggeriva Wendorff, o varrà ancora il libero arbitrio nella scelta dell’allocazione dei nostri investimenti privati? La risposta è cruciale per comprendere quale possa essere lo scenario in cui ci troveremo a vivere in questo bellissimo e sciagurato Paese.