Recovery Fund, Next Generation EU: contorni ormai abbastanza definiti, senza però escludere qualche aggiustamento in senso restrittivo
Di: Andrea Panziera
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La trattativa non sarà una passeggiata. Gli Stati rigoristi del Nord, ora ribattezzati “frugali”, opporranno resistenze spalleggiati da altri del cosiddetto “blocco di Visegrad”. Alla fine, però, in sede negoziale il peso e la volontà dei maggiori Paesi dell’Unione europea prevarrà; e il Recovery Fund, ridenominato Next Generation EU, dovrebbe vedere la luce. Sulla base delle ultime proposte avanzate i contorni paiono essere abbastanza definiti, anche se, ripeto, non bisogna escludere a priori qualche aggiustamento in senso restrittivo.
L’Italia e i 170 miliardi
Innanzitutto, la potenza di fuoco. Si tratta di 750 miliardi di euro che, aggiunti agli oltre 1000 già messi in campo a vario titolo, dovrebbero portare il monte risorse complessivo attorno ai 2000 miliardi. Una cifra invero imponente, che solo qualche settimana fa sembrava far parte del mondo delle utopie.
Siccome la ripartizione si baserà sui danni provocati ai singoli sistemi economici dalla pandemia di Covid19, l’Italia farà la parte del leone. Le verranno assegnati oltre 170 miliardi, circa il 23% del totale, una quota quasi doppia rispetto al nostro peso sul PIL continentale. Oltre 80 miliardi saranno erogati a fondo perduto, quindi senza obbligo di restituzione; la parte restante consisterà in un prestito a tassi bassissimi, di molto inferiori a quelli pagati dai nostri BTP. La restituzione avverrà nel lungo termine, con un onere in conto interessi che avrà effetti molto contenuto sui Conti Pubblici.
Le risorse proprie
Altro aspetto estremamente interessante: rispetto all’ipotesi originaria, che prevedeva un possibile consistente aumento dei contributi dei singoli Stati membri al Bilancio comunitario, è altamente probabile che il grosso della somma venga finanziato in modo autonomo mediante la disponibilità di risorse proprie derivanti da imposte prelevate a livello europeo. Fungono da esempio la plastic tax e/o un aumento del prezzo che le imprese inquinanti pagano per acquistare i diritti di emettere CO2.
Se così fosse, e sembra proprio che lo sia, ci troveremmo di fronte all’inizio di un principio da tempo invocato: l’introduzione di una “capacità fiscale” comunitaria. Un Bilancio europeo, cioè, finanziato con risorse proprie e non solo con contributi nazionali. Si tratta di un passo decisivo per completare la costruzione europea, finora fermatasi alla condivisione di una moneta unica. Poter disporre di mezzi finanziari immediatamente disponibili è un fattore decisivo per le future decisioni di investimento delle Istituzioni dell’Unione. Inoltre, esso sgombra il campo dalle estenuanti trattative relative ai contributi dei singoli Stati e alle discussioni sull’emissione di titoli di debito comuni, visti da molti Paesi come la richiesta di farsi carico delle passate dissipazioni altrui.
Alcune precisazioni
Tutto bene, quindi? In linea di principio sì, ma con alcune precisazioni – e un plauso preliminare ai fautori e sostenitori della proposta (Macron, Merkel e von der Leyen), nonché alla coerenza e tenacia del nostro Esecutivo, che si è battuto in tutte le sedi per una soluzione di questo tipo.
Quando saranno disponibili i soldi? Quasi tutti concordano sui tempi. È abbastanza verosimile prevedere che, concretamente, le procedure diverranno operative non prima dell’autunno inoltrato o, più probabilmente, a inizio 2021. Si tratta quindi di pianificare la gestione di un periodo di circa 6 mesi, nel corso dei quali i morsi del Coronavirus sul nostro sistema economico incideranno profondamente la carne viva degli italiani, soprattutto nei ceti più deboli. Come si è visto in questi ultimi giorni i mestatori del disagio sociale sono già all’opera; e risposte inadeguate o intempestive, senza per questo cedere al più vieto e deleterio assistenzialismo, si impongono in tempi molto rapidi.
Come verranno spesi? Sembrerà un paradosso, ma prioritariamente sarebbe il caso di chiedersi se riusciremo a spenderli tutti. L’Italia non ha mai brillato per efficienza e celerità nell’impiego dei sussidi europei negli anni destinatile, con una quota non marginale di fondi non utilizzati. Sul come, a dispetto di qualche cuginetto di Orban che grida alla fregatura, dimenticando che il leader ungherese è fortemente contrario a qualsiasi contributo a fondo perduto a nostro favore, per fortuna la Commissione ha fornito chiare linee di indirizzo in merito all’effettuazione delle riforme senza le quali i soldi non arriveranno.
Una postilla
Una postilla importante: i danari verranno erogati in base allo stato di avanzamento dei lavori. Ciò per evitare che alle dichiarate buone intenzioni seguano comportamenti assai poco commendevoli. Quindi, niente idee cervellotiche quali quella di tagliare le nostre imposte con le tasse pagate dai contribuenti degli altri paesi europei, ovverosia utilizzare una erogazione una tantum per una riduzione permanente della nostra imposizione fiscale.
Raccomandazioni chiarissime
In questo senso, le raccomandazioni della Commissione, ripetute in queste ore dal suo vicepresidente Valdis Dombrovskis, sono chiarissime. Le riforme dovranno avere come obiettivo: l’ammodernamento delle infrastrutture pubbliche, soprattutto quelle a basso impatto ambientale; la digitalizzazione dell’economia e in primis della Pubblica Amministrazione; il miglioramento della qualità dell’Istruzione; la riduzione della durata dei processi civili e penali mediante una sburocratizzazione tangibile e verificabile del sistema giudiziario.
In sintesi, il risultato dovrà portare a un sistema economico-politico-istituzionale più efficiente, più snello, più competitivo e, relativamente al comparto produttivo, più green. A tal proposito trovo molto utile una attenta lettura dell’intervista a Frans Timmermans, politico olandese di lungo corso, a proposito del destino dell’ILVA. «Potete usare i fondi Ue per salvare l’Ilva a Taranto e creare l’acciaio pulito», queste le sue parole. Suggerisco a tutte le parti in causa, quindi Governo, imprenditori, sindacati, etc., a questo come in altri sistemi critici, un’attenta riflessione, scevra da posizioni di principio economicamente non sostenibili, preconcetti, visioni miopi e di breve periodo sul destino del Paese e sulla sua collocazione nel futuro Mercato globale. Difficilmente avremo una seconda chance e questa non bisogna proprio sprecarla.