Le riflessioni di Volcharts sullo stato del mercato al termine del mese di agosto tendono ad isolare le componenti tecniche dello stesso
Di: Fabio Michettoni
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Le riflessioni di Volcharts sullo stato del mercato al termine del mese di agosto tendono ad isolare le componenti tecniche dello stesso, per capirne meglio l’assetto. Oltre a ciò, è doveroso un minimo di raccordo anche al tema dei tassi, che la FED sta aggredendo con una decisione e sistematicità sorprendenti e che rischiano di spiazzare gli investitori.
Abbiamo parlato a lungo degli eccessi evidenziati dall’ S&P500 che ha forzato volumetricamente l’ASK sotto l’importante resistenza a quota 4.300, arrivando a scambiare fino a due deviazioni standard sopra la DMA a 50 giorni (Displaced Moving Average), cioè una media mobile “shiftata” in avanti, dopo un rally del 17% dai suoi minimi di giugno.
Dalla metà di agosto, l’indice SP500 ha fulcrato un movimento ribassista continuando praticamente a scendere senza soluzione di continuità fino a ieri, tornando sotto la suddetta media.
Prima importante considerazione: sebbene il livello di prezzo dell’S&P sia appena al di sotto della sua media mobile a 50 giorni e non stia forzando volumetricamente il BID su valori eccessivi di pressione, i dati interni a breve termine sono tornati ad essere estremamente ipervenduti.
Da questo punto di vista il mercato USA segnala un Breath su valori estremi, raggiunti in velocità, passando quindi da condizioni estreme sull’ASK ad altrettanto estreme sul BID. Guardando a questa misura di ampiezza, di solito si assiste a un rimbalzo, in seguito a questi bruschi movimenti ribassisti, non coerenti peraltro con gli indicatori di volatilità, che dal loro verso segnalano una sostanziale stabilità. Per cui nei prossimi giorni potremo assistere ad aggiustamenti in upside, tendenti quanto meno a validare le resistenze viste tra 3.975 e 4010, con possibile estensione fino a 4.070.
Seconda riflessione: il rendimento del Treasury a due anni, che ieri ha raggiunto nuovi massimi da 15 anni a questa parte, ha avvicinato quota 3,5%. Anche se le letture sull’inflazione in tutta l’economia si stanno abbassando, i toni della FED restano ancora aggressivi, con attese di nuovi rialzi, anche oltre la metrica fin qui calibrata e in questo mercato, a una maggiore stretta sui tassi, corrisponde una secca discesa delle quotazioni. Questa è l’unica variabile che sta, al momento, orientando il mercato al netto di tutte le altre che i prezzi hanno già incamerato.
Osservando più da vicino il rendimento del Treasury a 2 anni e se lo confrontiamo con il tasso Target dei Fed Funds negli ultimi 20 anni, si nota come il Bond USA a 2 anni, mostri effettivamente dove i mercati pensano che si stia dirigendo il tasso dei Fed Funds. Finché il rendimento a 2 anni sale (causando l’aumento dello spread tra il tasso a 2 anni e il tasso sui Fed Funds), il mercato sta valutando una maggiore stretta.
Quando il rendimento a 2 anni raggiunge il massimo, o si avvicina all’inversione rispetto al tasso sui Fed Funds, il mercato comunica implicitamente alla Fed di fermarsi. Come si può vedere nel grafico (nel quale compare anche l’S&P500), quando il tasso dei Fed Funds ha toccato il massimo rispetto al rendimento del Treasury a 2 anni durante gli ultimi due cicli di rialzo, la Fed si era già spinta troppo oltre e ne è seguito un rapido allentamento della politica monetaria. Questo è ciò che la Fed sta cercando di ripetere in questo ultimo periodo, cioè aumentare i tassi per far scendere l’inflazione, ma senza andare troppo lontano. In forza di tale riflessione la FED avrebbe ancora un margine di 100-125 punti base di aumento
Questa è la riflessione centrale. Poi ce ne sono altre di contorno, già ampiamente trattate in precedenza e che andiamo ad aggiornare. Il Treasury a 2 anni “free risk”, che prezza il 3,48%, ha ora un rendimento più che doppio rispetto al “dividend yield” dell’S&P 500, congelato all’1,65%. Negli anni 2000 e fino al 2010, il rendimento del Treasury a 2 anni è stato pari a quello del dividend yield. Dopo il 2010 il rendimento del Treasury a 2 anni è stato pressoché nullo, facendo apparire le azioni (con rendimenti da dividendi più elevati) molto interessanti su base relativa. Con i Treasury che finalmente offrono di nuovo tassi d’interesse degni di nota, le azioni risultano marginalmente meno attraenti e fino a quando questo nuovo paradigma resisterà (ed è verosimile pensare che i tassi restino mediamente elevati per un po’ di tempo) il mercato obbligazionario potrà avere maggior grip, a meno che un crack dell’equity non riporti le quotazioni su valori più attrattivi, a conferma di ciò che Jeremy Siegel va ribadendo da tempo e cioè che nelle fasi di normalizzazione l’equity ha degli extra rendimenti rispetto ai bond, per la ricorrenza di rottura improvvise di prezzo degli indici azionari, cioè dei crack veri e propri.