Shanghai, Shenzhen, Suzhou, Pechino: prendiamo in considerazione gli elementi che ci permettano di analizzare l’attuale situazione cinese
Di: Lorenzo Bossola
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Shanghai non è l’unica città in Cina ad essere in lockdown o che lo è stata nel recente passato. L’hub high-tech Shenzhen, al confine con Hong Kong, a fine marzo ha imposto una chiusura generalizzata di una settimana circa. E la provincia dello Jilin era al centro delle notizie mondiali qualche settimana fa per l’aumento dei casi. Le autorità di Suzhou e Xi’an hanno imposto l’obbligo di non uscire di casa per ragioni non necessarie e di lavorare in remoto. E la lista può continuare elencando città sconosciute ai più.
Come spesso accade i metodi utilizzati da Pechino, dal partito centrale, sono non ortodossi rispetto al nostro (occidentale) modo di agire e pensare. Di conseguenza, bisogna indagare sia il perché di una scelta sia contestualizzare criticamente i metodi impiegati.
In questo breve articolo/commento prenderò in considerazione alcuni elementi che, se combinati tra di loro, possono dare un quadro di massima della situazione cinese attuale.
Chiusure e la “strategia zero-Covid”
Per prima cosa bisogna affrontare il perché di questi lockdown generalizzati e i dati che sorreggono e sconfessano il piano di contenimento del virus.
Xi Jinping, supportato da una parte del partito da una parte di mondo medico/scientifico, prosegue con la cosiddetta “strategia Zero-Covid”, che prevede l’impiego di misure invasive e spesso coercitive come app di tracciamento, test di massa (molecolari e di recente anche antigenici rapidi), quarantena in centri appositi, isolamento e lockdown al minimo accenno di un focolaio. Fino a poche settimane fa, fino all’arrivo della variante Omicron, questa strategia aveva funzionato abbastanza bene. Già nel 2020, la Cina era riuscita a contenere il virus e a riprendere una vita quasi normale.
Anche l’economia ne aveva giovato riuscendo a crescere quando tutti gli stati avanzati del mondo avevano un segno meno davanti alla voce del PIL. Secondo il Partito la motivazione primaria di questa strategia è, propaganda o meno lascio a voi il giudizio, la vita delle persone. I dati ufficiali, contestabili anch’essi, dicono che i morti da Covid-19 sono stati circa 4500, molto pochi.
I numeri danno ragione al Partito. Negli Stati Uniti i decessi hanno quasi raggiunto il milione. Però, la realtà, che in questo caso la limitiamo al virus, non conosce numeri, strategie e propaganda e non si lascia influenzare tanto facilmente. La variante (le varianti) Omicron è un virus diverso da quello di Wuhan e ha una contagiosità nettamente superiore.
Come riportato da The Guardian, secondo il professore Robert Booy, esperto di malattie infettive e vaccini dell’Università di Sidney, “il problema che la Cina ha ora è che il virus di Wuhan aveva un numero di riproduzione di 2, mentre le nuove varianti ne hanno 12 o più”. Dunque, la strategia così ben architettata in precedenza incomincia a vacillare. La realtà prende il sopravvento e a Shanghai sono morte 17 persone a causa del virus. Erano tutte persone non vaccinate dalla salute precaria tra gli 89 e i 101 anni. Quando “tutto” il mondo riapre, la Cina si richiude.
Ma quindi perché Xi e dirigenti del Partito non cambiano strategia? La risposta, ovviamente, non la so. Non ho il numero privato di Xi Jinping per chiedere spiegazioni. Tuttavia, si possono rintracciare motivazioni sia sanitarie sia politiche.
Iniziamo con quelle sanitarie. La “strategia zero-Covid” ha per un certo verso funzionato anche troppo bene, nel senso che ora la popolazione cinese ha una parziale immunità da vaccino (l’efficacia dei vaccini di Sinopharm e Sinovac è abbastanza bassa, soprattutto contro Omicron) ma non da contatto con il virus. Dunque, in caso di un “liberi tutti” la popolazione fragile o potenzialmente fragile sarebbe a rischio.
Invertendo l’ordine di una famosa citazione di Wen Jiabao, ex primo ministro dal 2003 al 2013, “se dividi un qualsiasi problema per il numero degli abitanti della Cina, è un problema molto piccolo. Ma se al contrario lo moltiplichi per il numero degli abitanti, ecco che diventa un problema molto grande”.
I casi giornalieri sono circa 30000 nuovi su una popolazione di 1miliardo e 400 milioni di abitanti. Da marzo Shanghai ha fatto registrare 300000 casi (la maggior parte asintomatici) su circa 26 milioni di residenti. Sono cifre irrisorie, almeno a un primo sguardo. Secondo uno studio dell’Università di Pechino, senza le pesanti restrizioni già a inizio febbraio i casi giornalieri sarebbero stati almeno 25 volte. Poi, la Cina, essendo uno stato nel complesso a medio reddito, ha un sistema sanitario la cui tenuta non è così sicura. Questo capitolo sarebbe troppo grande da affrontare ora, ma posso fornire un paio di dati. Secondo i dati elaborati da Nikkei Asia, in Cina ci sono solo 3,34 infermieri per 1000 abitanti contro 11,80 del Giappone e 7,90 dalla Corea del Sud.
Inoltre, la spesa sanitaria (statale e/o assicurativa obbligatoria) pro capite è di appena 459$ per la Cina, mentre per il Giappone e per la Corea del Sud è rispettivamente di 3936,6$ e 2171,8$. Non a caso, per effettuare i test di massa a Shanghai sono arrivati in aiuto oltre 38000 operatori sanitari da tutto il Paese (anche dell’esercito).
Xi Jinping e la stabilità
Altro elemento chiave per interpretare l’attualità è la parola di Xi. E la parola che più si addice alla sua segreteria è “stabilità” che va di pari passo con “sicurezza”. Quest’anno è un anno particolare e molto importante perché in autunno si terrà il ventesimo Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (十二大), durante il quale ci si aspetta che Xi venga riconfermato per la terza volta come Segretario Generale del Partito o un carica simile. Uno dei più grande sforzi da parte del Partito (per volere di Deng Xiaoping) di istituzionalizzazione del proprio potere fu quello di mettere un limite di due mandati. Lo scopo era quello di evitare un Mao 2.0 e di gestire, senza bagni di sangue, il passaggio di potere in un regime autoritario, cosa non banale.
Xi nel 2018 è riuscito a rimuove questa costrizione. Attualmente il Partito è al terzo passaggio (Deng -> Jiang, Jiang -> Hu, Hu -> Xi), solo il Vietnam ha fatto meglio, senza purghe eccessive e senza una lotta di potere alla luce del sole. In pochi mesi capiremo se Xi riuscirà a conservare il potere e come. Ecco perché ha concentrato il suo secondo mandato (2017-2022) sulla stabilità interna.
Durante il Congresso si riorganizzeranno anche tutte le strutture e gli organi del Partito, tra cui il Politburo e il comitato permanente del Politburo, e molti analisti concordano che le figure che più si sono votate alla stabilità riceveranno una promozione. Per fare solo due esempi, Chen Quanguo, colui che ha portato stabilità in Tibet e in Xinjiang, pare possa essere il futuro vice Premier. Chen Yixin, responsabile della gestione della pandemia, è quasi certo di essere promosso al Politburo, molto probabilmente al ruolo di segretario della Commissione Affari Politici e Legali, in sostituzione dell’attuale capo Guo Shengkun. Per tutto il 2022 Xi e i suoi fedelissimi avranno un mantra in mente: stabilità e sicurezza, sicurezza e stabilità. Il tempo delle riforme sarà l’anno prossimo, una volta riottenuto il potere.
È improbabile, dunque, che abbandonino questa strada dagli esiti tutto sommato calcolabili (se chiudi fabbriche e città intere sai quanto perdi di PIL) della “strategia zero-Covid” per avventurarsi in riaperture di confini o rischiare un crollo del sistema sanitario. Anche l’appoggio di Pechino del candidato, John Lee, ex Segretario alla Sicurezza, a Capo Esecutivo di Hong Kong riflette la scelta di voler prima di tutto garantire la stabilità.
Cos’è Shanghai in Cina
L’ultimo tassello dell’articolo è capire cosa rappresenta effettivamente Shanghai.
Il peso di Shanghai all’interno dell’economia cinese non è trascurabile ma non è così determinante come un paio di decenni fa. Vale circa il 3% del PIL e circa il 10% del commercio estero nel 2018. È però sede della più importante borsa valori cinese e terza al mondo per capitalizzazione totale con 7,63 trilioni di dollari, dietro solo alle due di New York. Shanghai ha sempre goduto di uno status diverso dalle altre città cinesi: a Shanghai c’è un po’ più di libertà.
È anche vero che i primi tentativi di marzo di convivenza con il virus (poi falliti secondo il rigido modello “zero-Covid”) sono stati duramente criticati dal potere centrale. Il recente richiamo di Xi durante la visita in Hainan di seguire rigidamente il suo volere e l’invio a Shanghai dell’altra responsabile della gestione pandemica e delle Olimpiadi invernali, Sun Chunlan testimoniano che l’autonomia è, almeno in questo caso, limitata. In tipico stile cinese, i leader di partito della città, per fare ammenda, per non perdere la faccia e soprattutto per non essere puniti, si sono scusati pubblicamente.
Detto ciò, Shanghai è un trampolino di lancio politico incredibile. Chi fa bene lì probabilmente riesce a ottenere un posto nel Politburo. Tre membri dell’attuale comitato permanente del Politburo hanno una stretta relazione con Shanghai. Xi Jinping stesso nel 2007 ha servito come segretario del Partito di Shanghai prima di essere promosso, Wang Huning, era professore della prestigiosa Università Fudan di Shanghai, e Han Zheng, prima sindaco e poi segretario del Partito della città dal 2003 al 2017, ora primo vice premier.
Il prezzo che Xi e che la Cina sono disposti a pagare per la stabilità è molto alto. Non bisogna dimenticare che il mercato interno cinese, sempre più vasto e sempre più ricco, è in grado di sopperire alle limitazioni e incertezze internazionali. Lo ha fatto durante il picco della guerra commerciale con Trump, lo ha fatto nel 2020 quando l’occidente era in lockdown e lo fa ora nel 2022. Il problema è capire con che frequenza la popolazione è disposta pagare la stabilità con la propria libertà, quanto meno di movimento. I malumori degli abitanti di Shanghai, i più familiari con valori occidentali, si sono manifestati immediatamente sui vari social e per strada.
Sembra che Xi stia vincendo la sfida di Shanghai, cioè quella di bloccare la città economicamente più importate, per garantire stabilità. Tutto (ricordiamo che la realtà non segue i bollettini) è andato come previsto: i casi a Shanghai stanno diminuendo (o non stanno aumentando) e il suo volere è stato rispettato. La strada verso la riconferma, unico vero obiettivo per questo 2022, sembra in discesa; Agli occhi dei cinesi Xi sarà colui che ha sconfitto la pandemia.
Vorrei concludere con un detto cinese 民以食为天 (mín yǐ shí wéi tiān) che si può tradurre come “la gente considera il cibo come il paradiso” o “le persone considerano il cibo come il bene primario”. Le lamentele degli abitanti di Shanghai della mancanza dei beni di prima necessità sono una scena che difficilmente si vede in una città cinese moderna. Per allargare il concetto, solo una vera crisi economica può mettere in discussione la leadership di Xi Jinping, e Shanghai è cruciale affinché l’economia regga.