Dalla tregua illusoria alla realtà delle armi: la pace secondo Trump e il ritorno dell’eterno conflitto mediorientale

Di: Andrea Panziera

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“Annuntio vobis gaudium magnum: habemus pacem”. Ebbene lo confesso, tanto entusiasmo, tutte le lodi proferite verso l’artefice di questo asserito risultato straordinario mi sono sembrate fin da subito un tantino esagerate. Ho pensato, maliziosamente, che forse l’obiettivo dei molti sperticati plaudenti era proprio quello di promuovere la candidatura del platinato tycoon in prossimità dell’assegnazione del Nobel, sponsorizzazione non coronata da successo (per fortuna!).

O magari, più banalmente, si è cercato solo di rafforzare la propria visibilità agli occhi dell’aspirante sovrano statunitense, che a colpi di provvedimenti extra legali sta cercando di trasformare la più antica repubblica presidenziale in una sorta di monarchia ad uso e consumo personale. Ma come di solito capita dopo un abbaglio condiviso dai più, arriva il tempo dei conti con la cruda realtà ed il “redde rationem” appare al momento invero impietoso.

Mentre scrivo, stanno passando su tutte le reti le immagini di un nucleo familiare composto da una decina di persone fra cui sette bimbi, tutte stipate in un mezzo di fortuna, massacrate dal proiettile di un tank israeliano, perché il furgone avrebbe inavvertitamente oltrepassato la linea gialla che delimita la zona di Gaza dove si sono ritirate le truppe di Tel Aviv.

I segnali della demarcazione, a detta di testimoni terzi del tutto affidabili, è poco visibile anche in pieno giorno. Quindi, è molto verosimile aspettarsi stragi analoghe già nei prossimi giorni o settimane. In realtà, solo qualche sprovveduto, ovvero i prostrati adulatori di cui sopra, dopo aver letto con attenzione i punti del documento con cui è stata sottoscritta la tregua, poteva credere in un prosieguo differente.

Duemila anni di violenze e ostilità e oltre 700 giorni di massacri non si cancellano con una sorta di memorandum che lascia volutamente nel vago tutti i punti cruciali, la cui soluzione costituisce presupposto ineludibile per un percorso di pacificazione comunque difficile. Troppe le intese passate tradite, da Camp David a Oslo, per superare lo scoglio di un motivato pessimismo.

Anche la tregua, perché così è corretto chiamare il documento siglato nei due giorni di negoziati a Sharm el-Sheikh, poggia su basi fragilissime; la sua prosecuzione o la sua fine dipendono dal premier di un governo criminale, che in tutti i modi vuole evitare i procedimenti giudiziari in cui è imputato, e da un movimento terrorista e torturatore, la cui affidabilità è di fatto prossima allo zero.

Nel suo delirio quotidiano, con frasi del tipo “diamo le armi agli insegnanti, così eviteremo le stragi nelle scuole”, oppure “le armi sono una delle cose più belle al mondo”, l’inquilino della Casa Bianca ha ipotizzato, dopo aver ridisegnato il post ricostruzione a Gaza come un Resort per super ricchi, di affidare pro tempore la gestione dell’ordine pubblico nella striscia proprio ad Hamas, salvo chiederne contestualmente il disarmo.

Ora mi è chiaro a chi pensava Bukowski quando ha scritto il suo celeberrimo libro (Storie di ordinaria follia). Ma, in quello che potremmo definire l’universo parallelo trumpiano, la realtà non conta ed essa viene sostituita da una mediocre recita quotidiana, fatta di roboanti annunci social, spesso conditi da minacce o improvvise retromarce, protagonismo pacificatore spesso destituito di ogni fondamento, accordi storici che sono al massimo pause conflittuali, la cui valenza e durata si rivelano poco dopo effimere o inesistenti. Così è in Medio Oriente e così sarà, con quasi certa probabilità, anche in Ucraina.

Se una virtù si può attribuire fuor d’ogni dubbio a Trump, è senz’altro quella di aver innalzato alle supreme vette della Politica l’arte del guitto, facendo uscire questa figura dalle infime considerazioni di cui è da sempre stato prigioniero, elevandolo al rango di insigne Statista. La diplomazia, il Governo, con lui sono diventati uno show quotidiano, una sistematica e riuscita demolizione delle regole e della prassi democratica; tutto ciò a favore di un protagonismo dispotico e qualitativamente cialtrone, che tuttavia incontra l’ammirazione e la deferenza anche di una vasta claque di uomini di Stato, o sedicenti tali, i quali per comun sentire, convenienza o mancanza di possibili alternative lo assecondano.

Cosa accadrà ora? La Pax mediorientale, senza la nascita di uno Stato palestinese che non fa parte della sua visione, rimarrà un miraggio e gli avvenimenti di queste ore purtroppo suonano come mortale conferma. Il destino dei superstiti abitanti di Gaza nonché di quelli della Cisgiordania, oggi come nel futuro, dipenderà dalla durata della solidarietà internazionale, quindi una sorta di vuoto a perdere non appena i fari dei media mondiali inevitabilmente si spegneranno.

La parola “ricostruzione” verrà tramandata ai posteri, i quali si troveranno in una situazione non dissimile rispetto a quella attuale. Non ha torto David Grossman, noto scrittore israeliano, quando afferma che l’unica forma di pace possibile è quella dei ricchi, con la diaspora dei palestinesi e la loro rinuncia a qualsiasi sogno di entità statale autonoma.

Così va il mondo oggi, anche se i milioni di cittadini americani scesi in piazza in queste ore per manifestare il loro pacifico rifiuto alle politiche neomonarchiche del Signore dei Flagelli squarciano l’orizzonte buio e lasciano intravvedere un barlume di speranza.