Anna Elisa Sartori racconta le sue opere più importanti, l’insegnamento nel Circolo Gioiarte e la passione trasmessa alle figlie
Di: Sofia Boscagin
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Anna Elisa Sartori, pittrice originaria di San Giovanni Ilarione (VR), ai piedi della Lessinia, dedica la sua vita all’arte, sia come pittrice che come insegnante. Da molti anni tramanda le sue conoscenze artistiche nel Circolo Gioiarte di Arcole (VR), il suo atelier.
Cresciuta nel paesaggio verdeggiante della Lessinia, tra boschi fitti, colline e torrenti, fin da piccola affascinata dal colore del cielo e del mare, non ha potuto che sviluppare appieno la sua vocazione artistica, sperimentando e poi insegnando diverse tecniche tra cui disegno, pittura a olio, scultura modellata e acquerello.
Anna Elisa ha conseguito diversi attestati, tra cui la prestigiosa qualificazione presso l’Accademia dell’Arcimboldo di Firenze, e ha partecipato a diversi workshop di acquerello con artisti anche internazionali. Tra le sue opere più importanti, si annovera l’affresco nella volta della chiesa di Locara (VR), realizzato nel 2014 insieme ad Antonella Burato, raffigurante La decollazione e l’apoteosi di san Giovanni Battista.
Partiamo dall’inizio, dal tuo motto: “l’Arte: che passione!” Come nasce in te questo grande amore per il pennello e per i colori?
«Nasce quando ero ancora una bambina, abitavo sulle colline della Lessinia e mia mamma mi portava fuori a osservare la natura. Ho cominciato presto a realizzare questo sogno, questo desiderio di descrivere le cose con i colori. Io la considero una vera vocazione: una strada congeniale a me, che ho seguito con passione, anche se a volte non è stato facile. Così è nato il mio amore per l’arte: in mezzo ai fiori, alla luce, alle piante e alla natura.»
Dopo aver sperimentato diverse tecniche artistiche, oggi ti dedichi soprattutto all’acquerello. Cosa ti affascina di questa forma d’arte?
«Sì, adesso sì. Ho lavorato per quasi trent’anni con la pittura a olio, ma dopo aver dipinto la volta della chiesa di Locara (VR) — un progetto che mi ha impegnata per più di due anni — ho deciso di lasciare l’olio e dedicarmi ai colori ad acqua. È stato come sentire il bisogno di una sintesi. Dell’acquerello mi affascina soprattutto poter trasferire su carta, anche molto rapidamente, ciò che sento. Quello che amo di più è il contatto con l’acqua e il colore: vedere il pigmento scivolare mi dà tanta soddisfazione e leggerezza. Amo ancora l’olio, in realtà vorrei fare tutto!»
Ho visto che con l’acquerello realizzi anche book di viaggio, come se catturassi con il pennello il paesaggio e la sua atmosfera, anziché comprare una cartolina.
«Esatto! Questo è l’aspetto immediato ed estemporaneo dell’acquerello: a volte usi solo un colore, ma riesci comunque a catturare ciò che vedi con un’emozione più forte della fotografia, che si limita a scattare. Poi, quando riguardi il book di viaggio, ricordi anche il sentimento provato in quel momento.»

In un’intervista su Radio Italia hai parlato della tua opera nella chiesa di Locara. Vuoi raccontarci com’è stata l’esperienza e come avete lavorato?
«Abbiamo lavorato in due, io e Antonella Burato. La soddisfazione maggiore è stata il confronto con la Curia di Vicenza e di Verona e con la Soprintendenza per i beni artistici, che hanno gestito tutta la parte burocratica. È stato bello e impegnativo trovare i modelli per le rappresentazioni, impastare una grande quantità di colore e trasferire i pigmenti sui pannelli.»
Come funziona dipingere su un soffitto così alto?
«Abbiamo appoggiato su cavalletti otto grandi pannelli di quelli che si usano per costruire barche, quindi molto resistenti all’umidità. Abbiamo dovuto misurarli al millimetro, perché dovevano combaciare perfettamente: poteva capitare che la testa di un soggetto fosse in un pannello e il corpo in un altro. In chiesa è stato montato un ponteggio alto venti metri. I pannelli sono stati poi attaccati al soffitto con centinaia di corde d’acciaio. Abbiamo optato per questa soluzione perché il dipinto precedente era caduto a pezzi, non ci siamo fidati a lavorare direttamente in loco. Anche perché, secondo le indicazioni delle Belle Arti, non si può fare un’opera direttamente sul soffitto senza ottenere ulteriori permessi.»

Io ho avuto il piacere di addentrarmi nel tuo Circolo Gioiarte e respirare un’atmosfera magica e creativa, che profuma di tisana e suona le canzoni di Battiato. Che valore hanno per te l’insegnamento, la condivisione e la musica?
«Sono cose legate fra loro, non si possono dividere. La condivisione fa parte del mio modo di essere. La musica crea l’atmosfera, ti accompagna nei movimenti e fa parte della tua vita. L’insegnamento mi è sempre piaciuto. Mentre studiavo e seguivo vari progetti artistici, mi sono chiesta: ”Perché non insegnarlo anche ad altri?”. Secondo me è riduttivo fare il pittore solo per sé stessi, perché tramite gli altri si impara, è uno scambio. Ogni persona porta una ricchezza dentro.»
Hai tenuto anche corsi di iconografia. Ti va di raccontarci qualcosa su questa forma d’arte così particolare?
«Sì, ho tenuto dei corsi circa dieci anni fa e oggi seguo ancora qualcuno dei miei allievi. L’iconografia è una tecnica molto antica: si lavora con il pigmento e l’uovo, che funziona come legante. In pratica è una ripetizione: si copia un disegno già esistente, è come se il lavoro fosse una preghiera. Si riporta l’immagine su una tavola di legno, che ha un tessuto incollato sopra, e si riproduce così l’immagine sacra, ad esempio una Madonna della Tenerezza.
È molto bello lavorare in gruppo, perché l’immagine sacra ha sempre un valore trascendentale. È una tecnica completamente diversa dalle altre: più che una pittura, potremmo definirla una scrittura o una preghiera. E poi non ci si firma mai: si può eventualmente scrivere il nome dietro, ma è un omaggio, un dono.»
Ti sono state commissionate diverse opere importanti, fra cui una in Sudan, una a Livorno e al cimitero di Arcole.
«Sì, in Sudan, in Africa, insieme ad Antonella Burato, ho realizzato un trittico che raffigura un crocifisso, il Padre Comboniano e San Paolo e San Pietro. È stato molto emozionante perché l’opera è arrivata in un luogo lontano, in una chiesa sperduta: io l’ho vista solo grazie a un video girato con il drone e ad alcune fotografie.
A Livorno ho realizzato le 14 tavole della Via Crucis per la chiesa dei frati. Ho affrescato anche la cappella dei sacerdoti al cimitero di Arcole e il sacello di San Giovanni Nepomuceno.
Un altro lavoro che mi ha dato molta soddisfazione è stato in una cantina: ho dipinto un cielo su tutto il soffitto e intorno ho rappresentato dei bacchi sulle tinozze.»

So che condividi la tua passione con tua figlia, com’è collaborare con lei?
«Collaborare non è semplicissimo, perché lei ti vede sempre come una mamma. In realtà lavoriamo in modo diverso: Miriam si dedica ai bambini, dipinge soprattutto il mare, frequenta l’Accademia e segue i suoi progetti. Eleonora invece si è laureata al DAMS (Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo) e adesso lavora in un’altra città. Durante il periodo del Covid si è dedicata molto alla pittura, realizzando grandi opere, anche di due o tre metri, spesso autobiografiche.»
Com’è fare un ritratto alla propria figlia?
«Fare un ritratto della propria figlia è un’esperienza molto bella, perché ti porta a scavare dentro e scoprire cose che magari non si dicono. Infatti, quando Eleonora ha pubblicato il ritratto su Instagram ha scritto: “Non è facile avere una mamma che ti scopre dentro senza fare nulla: lei vede tutto.”»
Vuoi raccontarci i tuoi progetti futuri?
«Parteciperò alla Fiera dell’Arte a Padova, dall’11 al 17 novembre 2025. L’8 settembre invece inizierò un soffitto in una villa del 1525 che si trova a Noventa Vicentina, lo realizzerò in stile liberty.»
Grazie.