Un’Europa disunita è il regalo più grande che possiamo fare a Washington, mentre servirebbe una risposta compatta e lungimirante

Di: Andrea Panziera

LEGGI ANCHE: Lampi News – Il Papa di tutti

Mario Seminerio, noto operatore finanziario e commentatore di vicende economiche, per il suo articolo sul tema ha preso a prestito il titolo di una nota trasmissione televisiva: “C’è posta per l’UE”. Francamente sarebbe stato impossibile fare di meglio, navigando fra ironia e sarcasmo.

Alla fine, la letterina dall’imprevedibile presidente americano è arrivata ed il suo contenuto ha lasciato basiti solo coloro i quali non ne hanno ancora ben compreso la totale inaffidabilità e la sua temeraria tattica negoziale. Una aliquota del 30% è indubbiamente una bella mazzata, ben al di sopra di quel 10% che, obtorto collo, molti in Italia erano disposti ad accettare come il male minore. La reazione più demenziale è stata quella di alcuni politici nostrani, i quali incolpano i vertici delle Istituzioni europee e propongono di procedere con trattative separate, Paese per Paese.

Una chiara dichiarazione di intenti (un tempo si sarebbe chiamato tradimento) il cui risultato finale altro non può essere che il suicidio economico del Belpaese. È un po’ come l’atteggiamento del cornuto, il quale, per fare un dispetto alla moglie, si auto evira. Invito caldamente questi signori a rileggersi le statistiche del nostro export, così da valutare quali sono le controparti alle quali non si può assolutamente rinunciare o scontentare, pena il tracollo del nostro sistema economico.

I mercati finanziari, dopo un primo momento di smarrimento, hanno reagito con una temporanea compostezza, vuoi perché hanno ormai fatto l’abitudine alle intemerate trumpiane ed ai suoi proclami smentiti qualche ora dopo, sia in quanto mancano ancora due settimane all’entrata in vigore dei dazi e in questi casi, visto il personaggio, il classico “wait and see” è la cosa migliore da fare. Detto questo, ha probabilmente ragione l’ex rettore della Bocconi Guido Tabellini.

Se da un lato dovremmo aver metabolizzato le tattiche negoziali dell’amministrazione americana, rozze ed anche intimidatorie, dall’altro esiste ancora un margine di tempo non lungo ma sufficiente per trovare un accordo ragionevole, ammesso e non concesso che nel mentre l’imprevedibile tycoon non inventi qualche altra trovata fantasmagorica e ci lasci interdetti a bocca aperta. Ormai dovrebbe essere assodato che nel corso di una giornata i suoi cambi di opinione sullo stesso argomento si contano a malapena sulle dita di due mani, quindi non sarei stupito se prima di veder pubblicato questo pezzo si palesasse una palingenesi o una deriva ancora più catastrofica.

Con lui alla Casa Bianca tutto è possibile, nel bene (raramente), ma soprattutto nel male. Certamente sarebbe preferibile un onorevole compromesso, ammesso e non concesso che l’ipotesi del 10% a nostro sfavore lo fosse. Ma se ciò non accadesse e le trattative non sortissero risultati accettabili? Il presidente USA, con tale mossa, avrebbe come obiettivo quello di riportare, grazie ai dazi, una parte consistente della produzione manifatturiera nel suo Paese.

Questa intenzione, ammesso che sia effettivamente quella, si scontra in modo evidente contro lo stato di realtà, ma soprattutto non tiene conto di un dato: in prima battuta, in attesa che l’auspicio trumpiano di massicci trasferimenti di insediamenti produttivi in terra americana possa essere concretamente realizzato, cosa già abbastanza inverosimile, a pagare il prezzo dei dazi sono proprio i consumatori americani.

Esistono pochi beni immediatamente sostituibili con altri a parità di qualità, se non a fronte di un maggior esborso di danaro. Sarebbe il caso che la Corte dei Miracoli assisa nelle stanze della Casa Bianca desse ascolto a quanto suggerito da molti economisti delle loro più importanti università: “read economics again”, ma dubito che prenderanno in considerazione questo consiglio. E allora, che fare? Scartata l’ipotesi insensata di trattative individuali, caldeggiata da politici la cui protervia gareggia con l’endogena ignoranza, l’unico modo di procedere è quello di muoversi in modo compatto, parlando con la sola voce in grado di tutelare al meglio l’interesse di tutti: quella della UE nel suo insieme.

Fra gli altri, l’ha capito molto bene anche l’attuale Governatore del Veneto Zaia e, con lui, tutti i rappresentanti del territorio che hanno a cuore le sorti delle imprese locali e dei lavoratori in esse occupati. Non occorre essere dei fini politici per comprendere la logica di quanto sta accadendo: lo scopo delle azioni di Trump, nessuna esclusa, così come quello di altri leader di schieramenti non propriamente democratici, è quello di dividere l’Europa.

Se essa resta unita, rappresenta per forza economica, equilibrio politico e stabilità finanziaria, un temibile competitor per dittature e democrature oltreché un punto di riferimento etico e morale per tutti coloro che credono nella assoluta preminenza dei valori democratici e del nostro lifestyle. L’ho già scritto in alcuni articoli precedenti, ma vale la pena di ripeterlo: i passi da compiere sono quelli che portano verso un modello di Stato Federale, eliminando senza indugi i residui rigurgiti di nazionalismo affiorante.

Chi non ci sta se ne faccia una ragione e se l’udito continua ad essere precario, vada pure a scroccare i copiosi sussidi che l’Europa gli elargisce da qualche altra parte. L’agenda Draghi ha delineato il percorso, a mio avviso non più rinviabile: bisogna aprirla ed attuarla, passando una volta per tutte dalle reiterate buone intenzioni parolaie ai fatti ed atti concreti.