Dopo l’eliminazione in Coppa Italia, la sconfitta contro la Roma pregiudica anche il discorso campionato per l’Inter di Simone Inzaghi

Di: Andrea Panziera

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La delusione del tifoso non deve mai far premio sull’obiettività: contro la Roma l’Inter ha meritato di perdere, in misura di certo superiore rispetto alle sconfitte di Bologna ed alla semifinale di Coppa Italia contro il Milan. I giallorossi ha avuto più occasioni da gol, hanno giocato meglio e, soprattutto, hanno mostrato una condizione fisica di gran lunga migliore di quella dei nerazzurri. I quali sono apparsi poco solidi in tutti i reparti, incerti, imprecisi, con poche idee e perlopiù confuse. Certo, si potrebbe recriminare per il rigore clamoroso non concesso a pochi minuti dalla fine o per le due – tre occasioni fallite a pochi metri dalla porta. Ma gli avversari ne hanno create di più nitide e solo per qualche caso fortuito non hanno raddoppiato. Il sogno del “Triplete” è sfumato subito dopo essersi materializzato con l’ingresso nella semifinale di Champions League. Come d’abitudine, in questi casi la colpa ricade sulle spalle dell’allenatore. Spesso non sono d’accordo con questa prassi e tantomeno la condivido ora, nonostante le tre sconfitte di seguito che potrebbero compromettere l’esito di tutta la stagione.

Fin dall’inizio del campionato la gran parte dei commentatori ha continuato a ripetere un leitmotiv non reale, ossia che l’Inter avesse il parco giocatori più forte. Se ciò può essere abbastanza verosimile per gli undici titolari, risulta completamente falso se si valuta la c.d. “rosa” nel suo complesso. Quando sono mancati calciatori importanti, i loro sostituti, salvo poche eccezioni, non si sono mai rivelati all’altezza. Questo vale soprattutto per il centrocampo e l’ attacco; in molti incontri le occasioni da rete non concretizzate, anche clamorose, hanno raggiunto la doppia cifra e spesso non si sono vinte le partite proprio per svarioni sotto porta da matita blu. Forse, a Inzaghi si potrebbe imputare un solo errore, cioè quello di non aver capito in tempo che sarebbe stato più realistico puntare su un solo obiettivo, quello più abbordabile. Fra tutti, visto il vantaggio di tre punti a sei giornate dal termine, al posto suo avrei optato per il Campionato, ma come si suole dire, “del senno di poi son piene le fosse”.

Ora esiste il rischio, o forse la quasi certezza, che questo finale di stagione possa riservare solo un epilogo di amarezze e recriminazioni; nello sport questa eventualità è tutt’altro che inusuale, ma anche dagli errori e dalle delusioni si può imparare qualcosa. Il primo insegnamento è che in alcune circostanze bisogna essere in grado di scegliere il male minore, perché in caso contrario, si rimane inevitabilmente a bocca asciutta. Il secondo riguarda l’anagrafe dei calciatori: nel calcio moderno si gioca tanto, probabilmente troppo. Di sicuro l’esperienza costituisce un fattore importante, ma la resistenza fisica lo è ancora di più. L’Inter ha un’età media fra le più alte della Serie A; pensare ad uno svecchiamento non è più un’ipotesi ma una necessità. Infine, ogni acclamato fuoriclasse dell’Inter dovrebbe avere la necessaria consapevolezza che la leadership va ribadita sul campo partita dopo partita. Questo discorso vale soprattutto per quei quattro – cinque giocatori, i quali vengono riconosciuti da tutti come i veri pilastri della squadra, ma che nelle ultime settimane hanno quasi sempre fornito prestazioni assai deludenti e spesso determinanti in negativo sui risultati finali. Il campione si definisce tale anche e soprattutto nei momenti di difficoltà, quando pesa come un macigno la sua capacità di dare un contributo decisivo, sia a titolo individuale che a favore del collettivo.

La sensazione spiacevole è che negli ultimi incontri siano stati proprio questi leader a non essere all’altezza delle aspettative, con prestazioni ben al di sotto della sufficienza. Il dubbio è che, sull’onda dell’euforia figlia dei successi degli anni precedenti, qualche ottimo giocatore sia stato impropriamente elevato al rango di campione assoluto, ma quelli veri sono purtroppo di un’altra dimensione, soprattutto quando la posta in gioco non ammette defaillance.