La fine delle certezze democratiche: un nuovo ordine globale tra autarchia, tecnocrazia e crisi dell’Occidente
Di: Andrea Panziera
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Sbaglierò, ma percepisco un pericoloso deficit di consapevolezza, diffuso peraltro non solo in Italia ma in gran parte delle Nazioni occidentali, che non promette nulla di buono. Molti pensano e si comportano avendo in mente i dettami in essere al tempo delle democrazie, ma non si sono ancora resi conto che da due mesi si è materializzata una rivoluzione copernicana che li ha spazzati via, imponendo un nuovo alfabeto da usare per la decrittazione del mondo. Qualche commentatore ha usato una simbologia assai efficace, affermando che è arrivata l’ora X, alludendo alla nuova denominazione che Musk ha dato a Twitter, mentre noi europei continuiamo utilizzare l’orologio, ormai vetusto, che sinora ha scandito il tempo dei sistemi liberaldemocratici.
Non siamo in presenza soltanto di un nuovo modo di comunicare, ovvero di apprendere notizie e informazioni, con la trita e farlocca retorica del peer to peer, che solo con X ormai coinvolge 600 milioni di utenti attivi ogni mese, che inviano quasi 500 mila tweet al minuto, che .nelle 24 ore diventano centinaia di milioni. Quello che abbiamo di fronte è un vero e proprio cambio di paradigma della storia, che ne provoca la sua negazione, il disconoscimento della sua eredità e quindi dei suoi valori e lasciti. Proprio in queste ore l’inquilino della Casa Bianca ha sentenziato che l’Ue è stata concepita per danneggiare gli Stati Uniti, lasciando intendere che farà di tutto per demolirla. Questa aspettativa di dissoluzione provoca l’inevitabile “tabula rasa” della cultura che ha permeato per 80 anni la “way of life” delle nostre democrazie, pregna di etica, principi condivisi, quindi alleanze basate su pilastri che parevano intangibili e universali. Tutto ciò non esiste più, sostituito dall’avvento di una tecnocrazia senza alcun vincolo e controllo interno di entità terze indipendenti, che fra i primi obiettivi si propone di sgombrare il campo dalle moleste e poco obbedienti Istituzioni sovranazionali di garanzia, nonché da tutte quelle Organizzazioni che si occupano di assistenza alle tante popolazioni più svantaggiate.
Troppo care e non funzionali ai “desiderata” del nuovo ordine mondiale, che non si pone limiti, né di espansione geografica, né di sfruttamento delle risorse materiali ovunque si trovino, o di remore morali di qualsiasi natura e specie. Questa logica, propugnata da Trump e dall’enclave tecnocratica che lo ha finanziato e grazie a lui distribuisce le carte del nuovo ordine globale, per le democrazie del Vecchio Continente implica conseguenze spiazzanti che, in mancanza di risposte rapide ed adeguate, rischiano di minare dalle fondamenta mezzo secolo di stabilità dell’Unione Europea nonché quella dei singoli Stati che la compongono. Con una doverosa premessa: chi, nei differenti Paesi membri, auspica o si adopera per questo scenario, recita solo il ruolo di servo sciocco e probabilmente anche la parte di idiota inutile, in quanto il beneficio che spera di ottenere dai “padroni del vapore” si rivelerà invero effimero e comunque commisurato al contributo che questi aspiranti vassalli saranno in grado di garantire sullo scacchiere internazionale. Una volta venuta meno l’ efficacia della loro azione verranno inesorabilmente scaricati, perché rappresentano solo un onere, ossia un corpo morto che non serve più.
Da ciò consegue, ad esempio, che la Nato rappresenta una realtà obsoleta e che la copertura americana alla sicurezza europea non è più garantita; quindi Bruxelles pensi alla svelta a forme e mezzi di difesa propri, in quanto sussistono fondati dubbi sul fatto che l’articolo 5 del Patto atlantico, quello che obbliga l’alleanza a intervenire in difesa di un Paese membro attaccato, sia ancora realmente in vigore. Trovo invero un po’ patetica l’illusione di chi pensa di essere così politicamente vicino al tycoon, da meritarsi l’attribuzione di una medaglia da spendere pro domo sua nel consesso europeo. L’avvicinamento fra Trump e Putin si inserisce perfettamente nella prassi imperialistica dei due personaggi: li accomuna una logica coloniale, la quale mira esclusivamente a perseguire i propri interessi, disconoscendo le vecchie alleanze, gli antichi impegni, le responsabilità assunte e i trattati firmati. Tutto ciò è ormai divenuto carta straccia, la storia, anche recente, viene riscritta, gli invasori non sono più tali, le stragi di civili sono confinate nell’oblio della memoria e, in nome del profitto, la resa senza condizioni annulla e sostituisce nel nuovo vocabolario la parola pace. Il colpevole di centinaia di migliaia di morti non è più chi ha scatenato il conflitto, ma chi colpevolmente non si è arreso per manifesta inferiorità. Ma d’altronde, perché meravigliarsi? Quando un presidente, pur se democraticamente eletto, agisce sulla base di una pura logica imperiale e ritiene sia corretto occupare uno Stato sovrano in quanto ricco di risorse naturali e propone ad un Paese al confine di diventare la 51esima stella della sua bandiera, per quali motivi dovrebbe opporsi ad un autocrate che vuole riesumare con la forza un impero che esisteva prima del suo? Si può sempre sedersi a un tavolo e trovare un accordo commerciale; io chiudo un occhio, o magari tutti e due, in cambio dello sfruttamento di qualche risorsa utile ad entrambi. Tutto, in questa visione del mondo, ha un prezzo, anche lo stravolgimento del concetto di libertà e la negazione dei diritti fondamentali, questioni che possono rientrare nella logica mercantile del baratto. Chi non l’ ha ancora capito e auspica un improbabile ritorno ai consolidati rapporti e mutui soccorsi del passato, se ne faccia in fretta una ragione.
In molte cancellerie sta tuttavia accadendo esattamente il contrario; a fronte della velocità di tale sconvolgimento, di questa mutazione affaristico – autocratica, la reazione è debole se non insussistente, tipica degli spettatori che non credono ai loro occhi e orecchie, incapaci di condividere una linea comune per affrontare le sfide che da qui a breve inevitabilmente si porranno. Qualcuno, al contrario, pensa che blandire i bulli, si trovino essi domiciliati ad ovest come ad est, costituisca il modo migliore per evitare danni maggiori e acquisire la loro benevolenza, magari venendo parzialmente esentati dai dazi prossimi venturi, peraltro appena confermati, nella perdente logica del “così facendo, io speriamo che me la cavo”. Altri, probabilmente, si sentono loro stessi interiormente “bulli in mi settima” e di conseguenza il compiacimento all’ uomo politico di riferimento costituisce parte integrante della loro indole naturale. Che poi, quasi sempre, il plaudente sostenitore nonché aspirante imitatore nella realtà assuma il ruolo di ruffiano senza arte né parte, rappresenta un evento ad elevata probabilità di realizzazione, ma il rischio del ridicolo non è certo il primo dei pensieri di questa categoria di personaggi. Un’ultima annotazione. La storia ci ha insegnato che autocrati e dittatori amano circondarsi di belle signore, spesso da loro confinate al rango di appariscenti sopramobili, da esibire nelle manifestazioni più importanti, come emblematico corollario alla simbologia del loro potere. Il loro retro pensiero è evidente: in quella posizione tutto è permesso, anche ostentare a mo’ di trofeo i successi, o presunti tali, fra le schiere del gentil sesso.
Giusto per non essere accusati di bieco maschilismo, questi novelli despoti in alcuni casi promuovono al ruolo di speaker delle fedeli cortigiane spesso dalla faccia feroce, a cui demandano il lavoro sporco se non vogliono farlo in prima persona. È il caso di Maria Zekharova, bionda e procace portavoce del ministero degli esteri russo, che si è scagliata a più riprese contro il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, reo soltanto di menzionare una realtà storica inconfutabile: era dai tempi della Germania nazista che un Paese europeo invadeva militarmente un altro Stato sovrano, il cui governo era stato scelto da libere elezioni. Questa signora nei giorni scorsi ha accolto con enfasi e grande risalto mediatico tale Vincenzo Lorusso, un nostro giornalista semi sconosciuto che aveva promosso una petizione online che conteneva l’affermazione seguente: “Il popolo italiano non si riconosce nelle dichiarazioni del Presidente della Repubblica Italiana Mattarella e desidera scusarsi con la Federazione Russa e con tutto il popolo russo”. Dopo il colloquio i due si sono poi esibiti in una sgangherata riproposizione di “Bella Ciao”, il cui accostamento con le centinaia di migliaia di morti e le immani distruzioni perpetrate dall’esercito di Mosca sul suolo ucraino suona semplicemente blasfemo. Mistero sulla lista dei firmatari di questa petizione, anche se qualche organo di stampa è riuscito a procurarsene alcuni. Tra questi appaiono nomi di indubbio spicco, come Ciolanka Sbilenka, Vagina Seminova, Piotr Ombon, Bagasha Minutina, Aleksei Nogaskey, Galina Kocilova. Per motivi di doverosa riservatezza quelli dei nostri connazionali autoctoni non sono stati divulgati. Comunque e per fortuna, nonostante tutto, qualche segno di esistenza in vita l’Europa pare lo stia dando.
Macron ha corretto di fronte alle telecamere di tutto il mondo, le cifre date da Trump sulle spese sostenute dai vari Stati a sostegno di Kiev e fra pochi giorni è previsto a Londra un incontro al vertice dei capi di Governo per decidere una strategia comune, non solo riguardo alla posizione da tenere in una eventuale trattativa di pace per l’Ucraina, ma soprattutto per iniziare a pianificare la costituzione di una difesa comune continentale. La strada maestra è stata lucidamente individuata da Mario Draghi nei suoi recenti interventi al Parlamento europeo e gioco forza bisognerà arrivare quanto prima ad una conta fra chi ci sta e chi si chiama fuori. Se, come pare, in Germania si formerà in tempi brevi un Esecutivo stabile, con pochi e condivisi punti programmatici, il segnale al mondo sarà forte e chiaro.
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