Donald Trump ed Elon Musk: il nuovo volto del potere tra populismo rosso, distopia ultraliberista e rivoluzione intercapitalista

Di: Andrea Panziera

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Da una decina di giorni il florilegio delle interpretazioni sui motivi più profondi della vittoria di Trump alle elezioni USA imperversa su tutti i media, nessuno escluso. Dalle spiegazioni più scontate si passa a quelle altamente sofisticate e c’è chi preconizza l’inizio della fine dei sistemi democratici così come li abbiamo conosciuti dopo la seconda guerra mondiale. Ma tutte queste dotte, giustificate ma spesso un po’ datate opinioni non possono prescindere da una prima e certamente non banale domanda: quale è, ma soprattutto sarà il ruolo in commedia del magnate pluri – bancarottiere e quello del miliardario più ricco al mondo, che preconizza il futuro dell’umanità sul Pianeta Rosso? Nessun dubbio che questo traguardo sia alla sua portata grazie alle immense finanze di cui dispone, o forse necessitato, a motivo del destino non proprio fausto per le richieste di salvaguardia ambientale a cui l’amministrazione entrante annuncia di voler riservare. Parodiando un noto programma televisivo di Corrado Guzzanti di una ventina di anni fa, Trumpisti su Marte potrebbe essere il tormentone del prossimo decennio, vista anche la non siderale distanza ideologico – politica fra finzione e realtà. Ebbene, man mano che passano i giorni, la percezione è che dietro le quinte lo sceneggiatore neanche tanto occulto della rielezione del tycoon sia proprio Elon Musk, chiamato fin da subito a condividere con il prossimo presidente alcuni dossier della massima rilevanza (leggasi guerra in Ucraina, ma non solo) pur non avendo al momento alcun incarico ufficiale, se non quello dell’efficientamento della macchina burocratica federale, verosimilmente a colpi di licenziamento, alla stregua di quanto accaduto con Twitter, ora X. L’esordio col botto sul proscenio politico internazionale del miliardario sudafricano è stato riservato al nostro Paese, con un invito al Governo a mandare a casa i giudici che si sono rivolti alla Corte di Giustizia europea per la querelle sui migranti e i c.d. “Stati sicuri” per l’eventuale rimpatrio. Ma visti i commenti a caldo e i mal simulati distinguo, appare altamente probabile, per non dire certo, che i politici nostrani, amici o estimatori di Musk, non abbiano capito molto sulla sua natura e sui suoi, invero pochi, principi. Lui è decisamente avverso ad ogni forma di statalismo ovvero di sovranismo e, qualora ne avesse la reale possibilità, ridurrebbe al minimo l’intervento o, per meglio dire, l’ingerenza dell’Autorità centrale nella vita pubblica. Tradotto, un laisser faire, laisser passer post litteram, pregno di connotati più potenti e senza limiti rispetto alla versione originale. La sua visione si può considerare una sorta di frullato, i cui ingredienti sono un libertarismo estremo con poche regole, che tracima nell’anarchia ed una scarsa o meglio nessuna considerazione di Culture e Identità nazionali, considerate come orpelli inutili e finanche dannose. Business first, questo il leit motiv del Musk pensiero: dietro e al servizio di questa logica, tutto è permesso o consentito, dalla guerra dichiarata al “politicamente corretto” con i suoi vetusti assiomi, allo spazio per qualsiasi forma di odio di genere, violenza verbale, fake di ogni tipo senza alcun tipo di controllo e censura, spazio a tutte le ideologie criminogene o paranoidi. Vietato vietare, se ciò è funzionale al moltiplicatore dei suoi proseliti e ben venga il “selvaggio web” in nome di una libertà distopica. Lo Stato e le sue regole? Angusti retaggi del passato, che limitano gli “animal spirits” e quindi la riduzione delle Istituzioni ai minimi termini diventa una sorta di missione. In questa ottica, statalisti, sovranisti e compagnia cantante (nonché adorante) sono ridotti al rango di strumenti atti al raggiungimento dello scopo, utili idioti da blandire finché, appunto, servono. Quando diventeranno ingombranti e l’ultraliberismo cozzerà con corporazioni, interessi di apparati, clientele variamente assortite, per loro suonerà il “game over”. Come acutamente osserva in un recente articolo Michele Serra, non sarà la classe operaia a realizzare il sogno marxiano del superamento del sistema capitalistico, ma verosimilmente sarà la sua annunciata evoluzione prossima ventura ad auto provocarne la possibile (probabile?) dissoluzione. Ed il platinato tycoon che ruolo avrà in cotanta avventura? Per colmo di paradosso, il colore di questa rivoluzione intercapitalista è proprio il rosso, tipico di tutte quelle comuniste, con le tragiche conseguenze che la Storia ci ha tramandato. Le interpretazioni sui motivi per cui esso sia quello che contraddistingue i repubblicani USA sono più d’una, ma forse la più accreditata attiene alla comune iniziale dei due nomi. Ma aldilà del colore, le prime nomine della squadra della nuova amministrazione vanno tutte nella direzione delle considerazioni precedenti. Un branco di mezze figure, perlopiù senza arte né parte, quasi unanimemente considerate incapaci a ricoprire con un minimo di competenza e professionalità i ruoli per cui sono stati designati e soprattutto di dubbia onestà e moralità. Ma d’altronde, se obiettivo è quello di depotenziare tutti gli Organi intermedi, collocando nei principali posti di comando dei fedeli servitori, a cosa serve la competenza? Quindi ben venga questo manipolo di guitti dal basso profilo, dalla giustiziera del suo cane da caccia perché non abbastanza predatore, passando per Matt Gaetz, futuro procuratore generale, sotto inchiesta per comportamenti non proprio cristallini da parte della Commissione etica della Camera, al segretario alla difesa Pete Hegseth, il cui unico merito è quello di essere un conduttore alla tv amica Fox & Friends, per non parlare della nuova coordinatrice dell’intelligence Tulsi Gabbard , con dichiarate simpatie per la Russia. La biografia degli altri è più o meno sullo stesso livello, se non addirittura peggiore. Ma invero, perché scegliere uno staff di persone competenti se il futuro vedrà la indiscussa supremazia della tecnologia, in primis di quella “pro domo dell’establishment”, sulle regole, sui principi e sui valori che oggi sovraintendono e disciplinano uno Stato di Diritto? Eppure, in molti obbietteranno, milioni di elettori , una loro ampia maggioranza, ha creduto e sposato questo sogno, o delirio di onnipotenza senza confini e controlli. Che ci azzecca, per dirla alla Di Pietro, l’ex middle class o i ceti meno abbienti con un miliardario megalomane ed un attempato politico a cui non importa assolutamente nulla dei diritti sociali, della promozione delle pari opportunità, o del risanamento delle periferie degradate? Lo avevano già capito i Romani 2000 anni fa ed in epoche più recenti altri politici di successo.” Una buona fetta di elettorato ha l’intelligenza di un ragazzo di seconda media che non sta neanche seduto sui primi banchi”. Nella realtà dell’America c.d. “profonda” il livello scende all’analfabetismo di ritorno e quindi sono sufficienti poche parole d’ordine alla portata di tutti, corroborate da comportamenti a misura di idiota, per scaldare il cuore e mobilitare il consenso. In un Paese regno del Junk food, dove il detto “la gente vota come mangia” assume una valenza assoluta, la lotta al rincaro degli hot dogs non poteva che risultare vincente, a dispetto di tutte le buone statistiche su PIL, occupati, dei continui record dei mercati finanziari. Che poi il problema derivi da posizioni settoriali di oligopolio del settore delle carni, di stretta osservanza trumpiana, chi se ne frega. Se, in aggiunta, questo messaggio viene veicolato in un’arena di lottatori finto truculenti, con il pubblico in delirio per il candidato presidente che si muove per mezz’ora come un baribal al ritmo della musica preferita (uno di noi, nel comune sentire), beh, l’esito finale del voto appare scontato. Dimenticavo: come da copione, non letto ma sottinteso, il premio finale per tutti gli adoranti supporter sarà una razione abbondante di ketchup, con cui annegare la prossima schifezza alimentare di cui si nutriranno. Oltretutto, fa pendant con il loro colore preferito.