L’invasione del granchio blu, minaccia per l’ecosistema marino italiano, può potenzialmente rappresentare un’opportunità sostenibile

Di: Francesca Azzalin

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L’invasione di granchio blu che sta colpendo i mari italiani è l’ennesimo esempio di come anche le più semplici azioni umane siano in grado di danneggiare gravemente ambiente ed ecosistemi. L’ipotesi più accreditata è che sia arrivato nei mari italiani tramite le acque di zavorra caricate in stiva dalle navi cargo.
Si tratta di una specie molto adattabile che si riproduce rapidamente e che sta minacciando l’industria ittica principalmente delle vongole ma non solo, principalmente in Veneto e in Emilia-Romagna. Partiamo con una descrizione del nostro malfamato crostaceo decapode, appartenente alla famiglia dei Portunidae, il cui nome in latino significa “bel nuotatore sapido”. Questa specie si suppone sia arrivata nella Laguna di Venezia già nel 1949, ma non è stata isolata e riconosciuta fino al 1993. Solo a partire dal 2010 sono state accertate popolazioni stabili lungo tutta la costa veneta. Il maschio, di dimensioni maggiori, può misurare fino a circa 25 cm di larghezza, mentre la femmina arriva fino a 20 cm. Il margine a fianco del carapace presenta 9 denti, l’ultimo dei quali è
più lungo, acuto ed esteso lateralmente. Questa specie evidenzia caratteristiche differenti, a seconda dei due sessi, nella forma dell’addome (noto come “grembiule”) e nei colori degli artigli. Nei maschi l’addome è lungo e sottile a forma di “T” rovesciata; nelle femmine mature esso è largo e arrotondato, mentre in quelle giovani è di forma triangolare. Gli artigli sono blu con punte rosse nei
maschi, arancione con punte viola nelle femmine. Può vivere fino a 4 anni ed è onnivoro: si ciba di bivalvi (cozze, vongole, ostriche), gasteropodi, crostacei, anellidi, insetti, pesci, e anche di alghe. I suoi predatori sono pesci, soprattutto verso gli individui giovani, uccelli, tartarughe marine e l’uomo. All’interno di questa specie il cannibalismo è un fenomeno comune. Predilige vivere negli estuari dei fiumi, in zone lagunari sabbiose e fangose. Tollera un ampio range di valori di temperatura e salinità; quando il termometro scende sotto i 10°C, i granchi tendono a infossarsi nel fondale fangoso per poi emergere con l’arrivo della
stagione primaverile. È una specie estremamente fertile; basti pensare che la femmina può deporre da 700.000 fino a 8 milioni di uova. Perciò, chiarito il problema con gli annessi e connessi, dichiariamo allarmati e un po’ inebetiti l’invasione, invocando prebende per i danni subiti che quasi certamente non arriveranno mai, o ne prendiamo atto cercando una soluzione?
C’è chi, come la Tunisia, ha creato una filiera e lo utilizza per la produzione di compost destinato alle piante e ai mangimi degli animali da allevamento; chi come le MARISCADORAS – azienda di Marcon, in provincia di Venezia-, ne commercializza la polpa, esportandola addirittura oltre Oceano e ne crea ricette per la GDO. Nel carapace di questa “piccola piaga d’Egitto” sono contenute tra le tante, due molecole, forse non così tanto note, ma molto utili e versatili; stiamo parlando della CHITINA e del CHITOSANO.
Una start-up della Virginia, la MARI SIGNUM, pensa di poter utilizzare la chitina e il chitosano contenuti nei gusci dei crostacei per poter costruire una nuova bioplastica. Il team di IMPLENIA- filiale svedese di una multinazionale elvetica- addetto alla filtrazione delle acque, utilizza il chitosano come agente chelante che unisce varie particelle soprattutto di metalli; queste affondano e possono essere filtrate fuori dall’acqua. Nell’università del Maryland hanno progettato una batteria allo zinco e chitosano che ha
un’efficienza energetica del 99,7% dopo 1000 cicli della batteria, il che la rende un’opzione praticabile per immagazzinare l’energia generata da vento e solare per il trasferimento alle reti elettriche. L’ università Cà Foscari sta studiando il modo di poter utilizzare queste molecole per la creazione di patch medicali, smalti per unghie antifungini a base d’ acqua, dei film per imballaggi, nonché
coating per il restauro e la conservazione di materiale scrittorio antico.
La chitina e il chitosano sono stati utilizzati in agricoltura, a partire dagli anni ’90 come battericidi. Proteggono le piante dai batteri patogeni che causano effetti negativi sulle colture durante la fase di crescita e di post-raccolta. Inoltre, il chitosano e i suoi derivati hanno molte applicazioni in cosmetica, per il corpo, la cura della pelle, dei capelli e dei denti. La chitina è un agente idratante. Entrambi sono utilizzati come antiossidanti, assorbenti dell’umidità, antimicrobici e agenti stabilizzanti nelle emulsioni.


Informandomi sulle proprietà di queste molecole, soprattutto il CHITOSANO, mi è venuta un’idea, e ho creato a titolo sperimentale uno shampoo solido, con proprietà antiossidanti, idratanti, antibatteriche. Perché uno shampoo solido? Perché è: Sostenibile-Eco-friendly; facile da trasportare anche per chi viaggia solo con bagaglio a mano. Risulta più efficace dei più utilizzati shampoo liquidi, perché è più concentrato e non diluito con acqua. È facile da usare ed è costituito da ingredienti naturali. È economicamente conveniente perché dura più a lungo e spesso è più concentrato, richiedendo una quantità inferiore di prodotto per lavaggio. Inoltre, se ne possono fare di mille varietà differenti per soddisfare le esigenze specifiche dei diversi tipi di capelli e problemi del cuoio capelluto. In conclusione, vuoi vedere che un temuto flagello per il settore ittico potrebbe diventare una buona
opportunità di business, senza compromettere i già fragilissimi equilibri ambientali? Ai, si spera, non tanto posteri la sperimentale e possibilmente celere sentenza.