In molte parti del mondo sta avanzando una nuova forma di autocrazia, che formalmente riceve la sua legittimazione dalla volontà popolare
Di: Andrea Panziera
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Storicamente il termine “autocrazia” è stato assimilato al concetto di dittatura. L’autocrate era l’individuo che non solo deteneva tutto il potere nelle sue mani, ma anche l’unico soggetto a cui era demandato il compito di prendere decisioni. Tutto l’apparato statale a corollario della sua figura aveva compiti meramente esecutivi, al più consultivi, con rigidi vincoli di obbedienza e nessun diritto al dissenso. Regimi autocratici sono state le monarchie assolutistiche, gli Imperi succedutisi nel corso dei secoli e, più di recente, la Germania nazista, l’Italia fascista, l’Unione Sovietica, la Cina maoista. Sbaglia però chi ritiene che tutto ciò sia ormai parte di capitoli di storia destinati a non ritornare. Non mi riferisco tanto ai tentativi, invero più numerosi che in passato, di bieco e interessato revisionismo, attuati con il dichiarato intento di rinvenire aspetti positivi in esperienze politiche che hanno tristemente segnato la vita di intere generazioni. La Storia, quella vera, il suo giudizio l’ha già emesso e non esiste teoria negazionista o riletture capziose che possano modificarlo. In realtà, in molte parti del mondo da qualche decennio sta avanzando, oppure si è consolidata, una nuova forma di autocrazia, che formalmente riceve la sua legittimazione dalla volontà popolare e proprio in forza di questa investitura si potrebbe definire “elettiva”. Esempi se ne possono fare molti, anche se ognuno di essi, pur nella comune appartenenza alla macro categoria di quella forma di governo, nella sua attuazione pratica presenta tratti originali. La Russia di Putin e la Turchia di Erdoğan, pur configurandosi entrambe come Stati autocratici, hanno un tasso di distanza rispetto al sistema democratico decisamente differente, se non altro riguardo alla possibilità di effettiva contesa del potere ed al rispetto dell’opposizione. Se il rischio implicito di ogni autocrazia, anche se liberamente scelta, dopo regolari elezioni dalla volontà popolare, rimane quello che in seguito venga disposto un diretto controllo su ogni forma di libera espressione, pensiero, parola, stampa, associazioni, credo religioso e politico, pur nel mantenimento formale di nuove consultazioni elettorali, appare ineludibile una domanda: stiamo parlando di un rischio ipotetico oppure, nella realtà “hic et nunc”, le più importanti democrazie occidentali potrebbero correrlo, magari a breve, con le inevitabili conseguenze che ciò comporterebbe? Pongo in primis a me stesso e poi a tutti i lettori questo interrogativo, perché giungono da tempo segnali forti ed inequivocabili sulla possibile materializzazione di questa eventualità. La tentazione della scorciatoia risolutiva, dell’uomo o del partito forte che risolve i problemi, si chiamino essi immigrazione, disagio socioeconomico, frustrazione o quant’altro, è purtroppo insita e latente in ogni sistema democratico, una sorta di virus che per i più svariati motivi o cause scatenanti poco alla volta colpisce fasce sempre più numerose della popolazione, a partire paradossalmente (o forse no) dai ceti medio – bassi, quelli più vulnerabili e sensibili alle parole d’ordine del “Pulp Fiction man” di turno. E’ accaduto in passato e, stando a molte analisi attendibili, può ripetersi in un futuro prossimo. O forse, senza accorgercene, alcuni passi verso questa direzione li stiamo già facendo. In questi giorni è assurta all’onore delle cronache la vicenda di Ilaria Salis, detenuta da un anno in Ungheria in condizioni da gulag sovietico, con l’accusa di aver partecipato al pestaggio di tre neonazisti, i quali hanno riportato escoriazioni con una prognosi di una settimana. Non sono state esibite prove documentali della sua partecipazione al “misfatto” ed anche i video dell’accaduto non confermano alcunché. E’ ben noto che lo Stato magiaro non brilla in quanto a rispetto dei diritti fondamentali delle persone; per questo ed altri motivi è stato in più occasioni richiamato dalle Autorità europee. Definire Orban e la sua compagnia politica come scrocconi pseudo democratici è probabilmente molto vicino alla realtà, ma finché le decisioni a Bruxelles saranno assunte nella gran parte dei casi all’unanimità e non da maggioranze qualificate, il corpulento leader ungherese avrà buon gioco nel mettersi di traverso “pro domo sua”. Quindi, niente di nuovo sul versante euro-orientale. Lo stupore e il timore, casomai, derivano da alcune dichiarazioni invero improvvide di alcuni nostri esponenti politici, peraltro ideologicamente non molto lontani da Orban. E’ vero che ogni Stato amministra la Giustizia con le sue leggi, le quali peraltro devono rispettare i diritti individuali fondamentali riconosciuti dalle Convenzioni internazionali. Tuttavia, parlare della Salis come di una terrorista rossa che deve restare in galera, non solo suona come uno sproloquio gratuito, ma non c’entra proprio nulla con i capi d’accusa che le sono stati rivolti dai giudici ungheresi. Forse, la speranza non tanto recondita di questi sceriffi italioti, è che in quel di Budapest la si condanni anche per quello che non ha fatto in Italia, visto che da noi è stata assolta per non aver commesso i reati di cui veniva incolpata. A questo punto una inevitabile domanda scaturisce per logica conseguenza: queste posizioni sono i versamenti fuori dal vaso di qualche individuo verbalmente incontinente, oppure costituiscono l’aperitivo che alcuni aspiranti autocrati nostrani vogliono servire per testarne il grado di accoglimento nella popolazione? Prego per me e per tutti i lettori che questa seconda ipotesi non corrisponda al vero, ma francamente non ci giurerei.