Tematiche e argomenti di importanza tutt’altro che marginale, ma trattati come sono soliti fare gli ultras delle curve contrapposte
Di: Andrea Panziera
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Mentre mi apprestavo a scrivere questo articolo mi è tornato alla mente l’incipit dell’introduzione del mio ultimo libro. “Da molto tempo mi chiedo se in Italia sia realmente possibile attuare una seria politica riformista che avvicini le strutture sociali, economiche e amministrative del nostro Paese a quelle delle più avanzate democrazie occidentali. Confesso che non sono mai riuscito a darmi una risposta definitiva, ma i dubbi e le perplessità crescono ogni qualvolta il Governo di turno afferma di voler affrontare la questione con decisione ed alle parole non seguono mai le determinazioni conseguenti”. Continuavo con questa ulteriore considerazione: “Nel corso degli anni ho maturato la convinzione che la questione travalichi il colore politico dei Governi; in altri termini, tutti i partiti e le relative coalizioni che si sono succedute nel corso del tempo, forse con qualche parziale eccezione peraltro non premiata da consensi e risultati concreti, hanno finito per privilegiare lo spirito di sopravvivenza a scapito dell’incisività di azioni che avrebbero potuto scontentare il loro elettorato di riferimento”. A distanza di 6 mesi, queste mie considerazioni si sono ahimè rafforzate e trovano nuovo nutrimento nelle sterili diatribe che affollano la scena politica quotidiana. Premierato sì o premierato no, madre (o perfida matrigna) di tutte le riforme; il solito vaniloquio sulle tasche degli italiani (sono state riempite o alleggerite con le ultime misure economiche?); le sterili discussioni sulla dislocazione dei nuovi centri per immigrati; le pagelle con lode (in realtà la conferma della sufficienza) attribuiteci dalle agenzie di rating. Tutti temi, in verità, di importanza tutt’altro che marginale ma trattati come sono soliti fare gli ultras delle curve contrapposte, tra un insulto solo un po’ meno volgare di quelli della tifoseria più becera ed una sequela di banalità ripetute ossessivamente. Le quali, invero, scaturiscono dalla consapevolezza riguardo la scarsa propensione di una buona fetta dei distratti ascoltatori a impegnarsi in elaborazioni mentali che richiedano un minimo di impegno. Peraltro, perché stupirsi? Da anni imperversano gli strali contro tutti i possibili “oni”, i giornaloni, i professoroni, i sapientoni, bersaglio quotidiano dell’onnipresente pensiero minimo. La cultura, parola composta di tre sillabe, nella sua declinazione operativa per molti non è mai andata oltre la prima e ogni bufala letta di sfuggita sul web e veicolata da sedicenti e sconosciuti esperti diventa più credibile del Vangelo. In questo marasma eclittico della conoscenza sarebbe necessario fermarsi, mettere a fuoco le idee e discuterne con cognizione di causa e, ovviamente, con numeri. Cerchiamo allora di fare un minimo di chiarezza, sperando per quanto possibile di non annoiare i lettori. Da anni quasi tutti dicono che uno dei nostri maggiori problemi è la perdurante instabilità e conseguente durata dei Governi; quasi nessuno tuttavia ha mai criticato il ruolo super partes del Presidente della Repubblica come Garante della Carta costituzionale. Partendo da questo dato di fatto, si possono ipotizzare tre differenti scenari, con esiti assai differenti, riguardo il possibile rafforzamento dell’Esecutivo: il presidenzialismo, ovvero l’ elezione diretta del capo del Governo che è anche capo dello Stato; il semipresidenzialismo significa invece elezione a suffragio universale del capo dello Stato, che non è capo del governo; premierato vuol dire rafforzamento del capo del governo, legittimato dal voto degli elettori, con un Presidente della Repubblica potere neutro e garante della Costituzione. Ad ogni evidenza, l’unica strada nel caso percorribile è la terza, sul modello dell’elezione diretta del Sindaco e del Presidente di regione. Una volta formulata una proposta di legge definitiva, sarà possibile stilare un giudizio nel merito della riforma. Il contenuto delle tasche degli italiani è solo materia di numeri e non di chiacchiere; a fine anno l’Istat darà il suo responso non in termini di valori nominali bensì reali, ma ad oggi i dati parziali e soprattutto le previsioni a breve-medio termine non paiono proprio incoraggianti. Questo vale sia in generale che in riferimento a settori specifici come la Sanità: dall’analisi degli stanziamenti rispetto al PIL si capirà chi ha torto o ragione, ma sulla base dei numeri allo stato disponibili non mi sembra che le affermazioni trionfalistiche abbiano grande fondamento. L’accordo sulla rotta verso l’Albania per parcheggiare i futuri migranti sta per essere sottoposto al vaglio di compatibilità con le direttive sia comunitarie che internazionali, oltreché con il nostro Diritto. In attesa di conoscere costi e implicazioni dell’eventuale operazione, attenderei il placet giuridico di fattibilità. Infine, le agenzie di rating non ci hanno declassato: se ciò fosse avvenuto, saremmo stati declassati a livello C, ossia un Paese “spazzatura” riguardo alla valutazione del suo Debito Pubblico. Grande successo, nuntio vobis gaudium magnum ? Al lettore la risposta. Nel frattempo Mario Draghi, in un intervento ad un Convegno del Financial Times, ha detto poche e semplici parole, che sono state riprese con grande rilievo da tutti i media internazionali: “O l’Europa agisce insieme e diventa un’Unione più profonda, un’Unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa comune, oltre a tutte le politiche economiche, oppure temo che l’Unione europea non sopravviverà se non come mercato unico». Draghi ha parlato della evidente vulnerabilità dell’Unione europea nelle grandi crisi geopolitiche in corso. La lezione che se ne può trarre? «Non dobbiamo mai scendere a compromessi sui nostri valori fondamentali», ha detto. Cioè pace, democrazia, libertà, sovranità nazionale. «Quello che non possiamo fare è starcene fermi, senza reagire. Abbiamo scoperto che ciò che per molti anni avevamo dato per scontato non lo era affatto, e dobbiamo combattere per difenderlo. Ma non ho dubbi sul successo finale», ha detto Draghi, ribadendo che «non c’è alternativa che vincere questa guerra». «Nel mondo assistiamo all’ascesa di autocrazie e democrazie illiberali, negazioni dei diritti civili e violazioni dei diritti umani. Dobbiamo combattere, ciascuno nella propria sfera personale ma anche collettivamente, per fare in modo che la negazione dei nostri valori non prevalga». Da esperto vero qual è, l’ex presidente del Consiglio ha parlato anche di economia.«Sono quasi sicuro che entro la fine dell’anno in Europa avremo una recessione. In ogni caso non sarà destabilizzante». Ma non ci sono solo problemi congiunturali, Il problema è che l’Europa sta perdendo strutturalmente terreno sugli Stati Uniti e non solo. «L’economia europea deve ritrovare in fretta la competitività perduta negli ultimi venti anni, e per farlo occorre aumentare la produttività con investimenti nella tecnologia, razionalizzare la spesa per la difesa, muoversi per forniture comuni di energia in modo da abbattere i prezzi. Abbiamo bisogno di una produttività molto più alta, anche per sostenere una società che invecchia: possiamo riuscirci solo attraverso investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia». Analisi, visione e credibilità, merce rara nella desolata landa del nostro panorama partitico. Sarà anche per questo che qualcuno prova disprezzo misto a disgusto ogni qualvolta si evoca la possibilità, nel futuro, di un eventuale nuovo Governo affidato ad un Tecnico, qualora quelli a guida politica si dimostrassero inefficaci? Mah…