Alla scoperta della luxury hospitality oggi. E guai a chiamarla lusso. Un viaggio intorno alla nuova cultura creativa dell’ospitalità
Di: Maria Mele
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“Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.”
Anche nel mondo dell’ospitalità e del lusso vale questo famoso aforisma della scrittrice britannica Agatha Christie? Dopo la terza edizione della Luxury Hospitality Conference possiamo senza dubbio rispondere in modo affermativo.
L’appuntamento annuale dedicato al lusso nel settore dell’ospitalità organizzato da Teamwork Hospitality e in collaborazione con HotelMyPassion, tenutosi lo scorso 28 settembre all’Hotel Melià di Milano, ha visto un’ottima affluenza di pubblico [quasi 700 persone in un giorno interessate al tema del lusso], la presenza di più di 40 speaker e una varietà di interessanti temi trattati nei vari interventi.
La ricetta di questo successo è, come spesso accade, molto semplice e consiste nella condivisione delle esperienze finalizzate allo sviluppo di una “cultura” dell’ospitalità luxury.
Usiamo volutamente il termine inglese “luxury” in quanto, da parte di tutti gli oratori, è emersa chiara l’esigenza di trovare un termine che sostituisca la parola “lusso” che ha acquisito nel tempo un’accezione quasi negativa.
Se ostentare in modo quasi eccessivo era infatti la parola chiave per rivolgersi a un utente forse “poco evoluto”, la sfida oggi è quella di trovare un termine che racchiuda tutta la poesia di un mondo fatto di ricercatezza, di qualità, di attenzione al dettaglio, di eleganza e di sobrietà, per il quale sembra più appropriato parlare di industria culturale creativa o “quiet luxury”, come proposto da Stefania Lazzaroni di Fondazione Altagamma, che ha delineato in un giovane asiatico alla ricerca di sostenibilità e inclusività anche nel turismo l’identikit del Cliente medio attuale.
Attenzione maniacale al processo produttivo, alla filiera garantita, alla salute del consumatore e dell’ambiente sono i valori chiave sottolineati nel suo intervento anche da Riccardo Illy per il Polo del Gusto, che vede nell’agro alimentare italiano uno dei fattori critici del successo a doppia cifra della crescita turistica nel nostro Paese.
In questo senso fondamentale diventa la comunicazione delle scelte di qualità non solo al Cliente finale, ma anche a quello interno.
Tutti gli speaker, che si sono alternati, hanno evidenziato l’importanza che tutti i collaboratori hanno nel far passare correttamente i messaggi valoriali dell’organizzazione e nella migliore gestione dell’Ospite.
Ogni momento di contatto con il Cliente deve rappresentare un vero e proprio momento della verità, nel quale le promesse fatte devono essere mantenute.
Risulta essenziale, quindi, che i collaboratori vengano scelti per le proprie attitudini, vengano formati opportunamente, ma soprattutto che siano in grado di trasmettere “l’ardente passione che li consuma”, per questa meravigliosa professione, per usare le parole di Mariella Avino di Palazzo Avino Ravello riprese e condivise da Daniela Cataldo, general manager di The Rome Edition.
Come fare ciò? “Attraverso lo scambio e la condivisione delle scelte manageriali assunte e della visione“, ci suggerisce sempre Mariella Avino, che vede nella ricerca delle eccellenze del territorio uno dei punti di forza della propria struttura di hotel indipendente con un fortissimo legame con la tradizione e con il “genius loci”.
Ma anche con un legame fortissimo da sviluppare all’interno del gruppo di collaboratori che deve sentirsi, “come in una famiglia”.
E se questo risulta più semplice in alberghi indipendenti come il Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento che appartiene alla famiglia Fiorentino da quasi 190 anni, e può contare su collaborazioni trentennali, deve essere ottenuto, con diversi strumenti, anche negli hotel con maggiore turnover del personale come quelli di catena, come riportato da Alessandro Misani, general manager di Melià Hotels International.
Se c’è qualcosa che gli hotel di catena debbono imparare da quelli indipendenti è proprio questo responsabilizzare ciascun collaboratore a svolgere il proprio lavoro come se fosse egli stesso il proprietario dell’hotel. Come? Usando un mix di elementi. Innanzitutto fornendo esempi eccellenti; il buon leader è colui che ispira, che indica la via e fornisce la visione.
Se vogliamo che brucino di passione dobbiamo dare passione noi stessi” afferma Luca Finardi di Mandarin Oriental Milan.
“Dobbiamo – continua Finardi – ridare lustro alla categoria partendo dalle basi, dall’education. Smettiamo per esempio di chiamarlo Istituto Professionale per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione e cominciamo a chiamarlo Liceo per la diffusione della cultura turistica,” perché , per citare questa volta Nanni Moretti, le parole sono importanti! E a questo proposito è stato sottolineato su ogni tavolo quanto la formazione costante e il feedback continuo siano elementi fondamentali per “mantenere il dialogo sempre aperto”, per usare le parole di Daniela Cataldo.
Indubbiamente il forte turnover, soprattutto in alcuni ambiti dell’ospitalità, crea una maggiore complessità, ma anche un’opportunità di inserire nel team nuove professionalità appassionate.
Lo spartiacque ancora una volta appare l’esperienza traumatica vissuta durante il periodo della pandemia, che ha portato a una nuova consapevolezza circa la necessità di un bilanciamento tra vita lavorativa e vita familiare/personale.
Tutti gli intervenuti parlano di un personale più consapevole dell’importanza del proprio benessere personale, con richieste nuove, per venire incontro alle quali è necessaria una nuova flessibilità.
Varie le sperimentazioni in atto, dal turno di lavoro unico giornaliero alla settimana corta, dallo smart working anche per il personale di sala, per finire con le pause richieste e ottenute per dedicarsi alla propria vita “social”, di cui ha parlato Valeriano Antonioli di Lungarno Collection portando l’esempio del Portrait Milano.
Se è vero quanto emerge dagli interventi, che il mondo luxury deve offrire la massima personalizzazione dell’esperienza offerta al Cliente finale, la stessa personalizzazione è richiesta, e anzi necessaria, per il Cliente Interno – il collaboratore – al quale vengono offerti anche tutti i vantaggi derivanti da una piattaforma di welfare, come nell’esempio portato da Luca Finardi di Mandarin Oriental Milan.
E come sempre il Cliente è al centro e la cosa fondamentale è capire che tipo di cliente è.
Articolo originale su WellMagazine