Quanto accaduto a Cutro due settimane fa deve condurre a riflessioni profonde, che vadano al di là delle emozioni, degli annunci “pro domo partitica”
Di: Andrea Panziera
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Ognuno è libero di festeggiare il suo compleanno come meglio crede; può cantare, ballare, fare le imitazioni e quant’altro. Con una avvertenza: se sei un personaggio pubblico, con responsabilità ministeriali importanti e pochi giorni prima hai visto dal vivo le terribili conseguenze di una tragedia figlia della disperazione e del suo sfruttamento criminale, che a consuntivo forse provocherà quasi un centinaio di morti annegati, evita di pubblicare video in cui ti esibisci in brani che parlano di donne morte scivolando in un fiume. E magari, suggerisci al tuo attempato alleato di non intonare “Sapore di mare”. Nel privato tutto quello che non va “contra legem” può essere consentito, ma l’assunzione di responsabilità istituzionali non deve fare a pugni con quel minimo di decenza morale che quell’incarico richiede. Ciò detto, quanto accaduto a Cutro due settimane fa deve condurre a riflessioni profonde, che vadano aldilà delle emozioni, degli annunci “pro domo partitica”, delle sparate prive di reale efficacia, fatte solo per mostrare una determinazione roboante di parole, ma priva di contenuti concreti, ovvero che all’atto pratico si rivelano impraticabili. Ma partiamo dalla narrazione di ciò che è accaduto al largo delle coste calabresi, non per accusare qualcuno di omissioni volontarie o altro, ma semplicemente per comprendere le cause precise di un così tragico evento ed evitare che in futuro possa ripetersi. Premesso che le colpe delle numerose organizzazioni criminali dislocate nei vari Paesi da cui salpano i barconi dei disperati non sono in alcun modo in discussione; che spesso le autorità locali presenti nei porti di partenza sono colte da miopia lautamente foraggiata; che qualche Stato affacciato sul Mediterraneo, aldilà delle parole, non ha fra i suoi propositi quello di attuare una politica di reale cooperazione con l’Italia volta ad una qualche regolamentazione dei flussi migratori; dato tutto ciò per assodato, una attenta lettura di quanto accaduto nelle vicinanze di Crotone pone alcuni interrogativi ai quali non è stata sinora data risposta esaustiva e chiarificatrice.
Nelle audizioni parlamentari, i rappresentanti del Governo hanno dichiarato che Frontex non aveva segnalato pericoli imminenti. In realtà non è questo il suo compito e le cose non stanno esattamente così. L’Agenzia europea aveva fornito ai colleghi della Guardia Costiera Centrale di Roma sia foto che altri elementi (rilevazioni termiche dell’interno della barca e tracce di numerose comunicazioni satellitari) dai quali era possibile individuare la sua vera natura. Inspiegabilmente, il messaggio trasmesso da Roma alla Capitaneria di Reggio Calabria riporta le testuali parole: “non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio”. Come noto, nel caso vi fosse invece stato il dubbio su una simile eventualità, ciò avrebbe comportato l’immediato intervento in mare delle nostra Marina militare. Ma, mi chiedo, che tipo di imbarcazione avrebbe potuto trovarsi su quella rotta, nota peraltro da anni come quella dei migranti provenienti dalla Turchia ? Forse un panfilo, un peschereccio, o cosa altro? Ed in ogni caso, viste le condizioni del mare molto impegnative, l’assenza sul ponte di comando di qualsiasi strumento atto al salvataggio e con quella tipologia di indicazioni segnalate da Frontex, non sarebbe stata più opportuna una verifica nelle vicinanze dell’imbarcazione? Mentre scrivo arrivano notizie di un altro naufragio avvenuto in queste ore al largo della Libia con una trentina di dispersi. E’ del tutto evidente che la risposta data finora, la quale punta esclusivamente sull’incremento delle pene per gli scafisti, risulta del tutto insufficiente e certo non dissuaderà i veri capi delle organizzazioni criminali dall’approntare nuovi viaggi ad elevatissimo rischio di naufragio, né persuaderà i disperati che fuggono da guerre, soprusi e miseria dal rinunciare. Oltretutto, come dimostrano le vicende di questi anni, i vertici malavitosi che sovraintendono alla tratta sfuggono all’arresto perché non si spostano mai dai loro Paesi d’origine ed i comprimari spesso sono scelti fra i passeggeri che vantano un minimo di esperienza di navigazione. E poi, con quali risorse pensiamo di catturare questi boss che godono di protezioni ai massimi livelli negli apparati statali delle loro Nazioni se, come ha osservato ironicamente un noto esponente politico campano, in tutti questi anni non siamo riusciti neanche a fermare un manipolo di borseggiatrici che ogni giorno imperversano nelle metropolitane delle maggiori città italiane? Al momento, l’unica presa d’atto possibile relativa ai risultati di questa guerra all’immigrazione illegale riguarda l’effetto del video di karaoke postato da alcuni dei nostri massimi rappresentanti istituzionali: i livelli di condivisione sono stati talmente numerosi e gli effetti così inaspettati , che l’incremento dei nuovi arrivi sulle coste italiane è schizzato alle stelle. Qui non si tratta di fare del cinismo, sciacallaggio o altro, ma i numeri parlano e questi, dopo la performance canora, si sono impennati. Cosa farebbero questi migranti pur di venire ad ascoltare dal vivo la performance di questi politici che hanno dichiarato guerra all’illegalità! Che non li abbiano presi troppo sul serio? Magari la spiegazione è più semplice e scaturisce dalla reinterpretazione di un ahimè celebre slogan di qualche tempo fa: “aiutiamoli (a morire) a casa loro”.