Fra due settimane saranno trascorsi 11 mesi dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. Si ipotizzava uno scontro di breve durata, ma così non è stato

Di: Andrea Panziera

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Fra due settimane saranno trascorsi 11 mesi dall’inizio della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina. Ricordo che all’epoca la maggior parte dei commentatori ipotizzava una durata breve, qualche settimana al massimo, vista la disparità delle forze militari in campo. Ma non è andata proprio così e tutte le previsioni concordano nel ritenere che il conflitto durerà ancora a lungo, probabilmente per buona parte del 2023 o forse oltre. Gli analisti ci dicono che il “sentiment” prevalente nei Paesi europei è quello dell’adattamento; ce ne siamo fatta una ragione ed in forza di ciò conviviamo abbastanza tranquillamente con bombardamenti, distruzioni e massacri quotidiani che avvengono a poco più di 2000 km da noi. Risolto, almeno per il momento, il problema delle forniture di gas, in gran parte della popolazione si è consolidata la presenza di una sorta di distaccato cinismo, spesso frammisto ad un fastidio palese o sottotraccia, cagionato dalla scelta di quasi tutti i Governi delle Democrazie occidentali di sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina. “Sono fatti loro!” Questa è la traduzione probabilmente più rispondente al sentire di molti italiani, parte dei quali magari si professa pacifista “tout court”, senza peraltro specificare con che modalità ed a quali condizioni si dovrebbe addivenire alla pace. La questione, a ben vedere, è esattamente questa. Fatta la tara a tutti gli egoismi, impliciti ed espliciti, che albergano nelle menti di molti nostri concittadini (e probabilmente non soltanto in quelli italiani), i quali conducono a conclusioni del tutto improponibili in quanto inaccettabili da una Nazione aggredita e martoriata, il percorso atto ad avviare un serio processo di pace passa solo dalla formulazione di proposte che riportino allo “status quo ante” il 24 febbraio scorso. In tutta evidenza altre opzioni non sono perseguibili. In primo luogo non è in alcun modo ammissibile l’annessione, sancita dai referendum-farsa dei mesi scorsi, di oltre il 20% del territorio ucraino, peraltro in parte già rioccupato dalle forze di Kiev. Allo stato attuale, aldilà di azioni di mera propaganda come la pseudo tregua per il Natale ortodosso, una disamina oggettiva della situazione sul campo suggerisce che i combattimenti possono terminare solo per il palese e conclamato indebolimento di uno dei due contendenti, ovvero per un cambiamento al vertice a Mosca, ipotesi questa che peraltro potrebbe essere foriera di conseguenze del tutto imprevedibili, in un senso o in quello opposto. Altri scenari non sono in alcun modo verosimili, a meno che non si associ alla parola pace quella di resa, più o meno senza condizioni. Forse sono in errore, ma nutro il timore che molti di coloro i quali spingono per una riduzione dell’ impegno europeo (ed in primis del nostro) a favore di Kiev, in realtà abbiano in mente esattamente questo: costringere in tal modo l’aggredito a riconoscere la supremazia militare dell’aggressore e trarne le inevitabili conseguenze. Ebbene, trovo improvvida questa concezione finto pacifista, la cui pericolosa ambiguità trova probanti riscontri in analoghe prese di posizione di alcune Nazioni non propriamente note per il loro tasso di democrazia e libertà. L’apertura di un negoziato, per come si sono messe le cose, può ottenere qualche chance di successo soltanto in seguito al rafforzamento sul campo dell’ Ucraina, in modo da consentirle di trattare la fine delle ostilità da una posizione di forza. Per raggiungere questo obiettivo non deve venir meno il sostegno compatto del blocco dei Paesi occidentali. Altra via oggi non esiste e chi sostiene il contrario pecca di ingenuità oppure è in malafede. Peraltro, che questa sia la strada giusta, è implicitamente dimostrato dalle dichiarazioni ufficiali di una parte non marginale dell’establishment moscovita, che in più occasioni ha ammesso di trovarsi in difficoltà. Quella che nelle intenzioni di Putin doveva essere una Blitzkrieg si è tramutata in guerra di logoramento, l’economia è in palese sofferenza e la grande Russia imperiale sognata da molti rischia di diventare il socio di minoranza della Cina. Il tempo non gioca a favore del Cremlino, a meno che non gli venga generosamente garantito dalla nostra miopia o ignavia.