A Marostica si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Al centro della rassegna di eventi una ricerca di Alice Scomazzon sulle condizioni riservate al genere femminile nella ‘Ndrangheta

Di: Benedetta Breggion

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Sarà la sede marosticense di Confartigianato Vicenza ad ospitare l’ intervento della giovane cittadina Alice Scomazzon, la sera del 23 novembre . Il Comune dell’ alto-vicentino ha deciso la presentazione della sua tesi di laurea Il ruolo delle donne nella ‘Ndrangheta: tra violenza e oppressione, potere e storie di riscatto attraverso il progetto “Liberi di scegliere”. L’ incontro permette alla rassegna di rendere completo il prospetto di quelli che sono i fronti su cui il nostro Paese deve ancora lottare per garantire i diritti basilari delle donne.

Alice ha voluto raccogliere e raccontare questa realtà della criminalità organizzata, forse la più tragica, che è purtroppo anche parte dei suoi motivi fondanti: il ruolo della donna in una delle più potenti associazioni a delinquere. La violenza domestica è uno degli aspetti che si conoscono della discriminazione di genere, ma la nostra Penisola soffre ancora di questo circolo vizioso da cui molte donne non sono ancora del tutto riuscite ad uscirne.

Sull’ autrice

Alice è laureata presso l’ Università di Padova in Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani
e, per il coronamento del suo percorso di studi, ha scelto di coniugare il suo interesse per le politiche di genere e per il contrasto alla criminalità organizzata.

Scatenante, per la realizzazione della sua tesi, è stato l’incontro dal vivo con Dina Lauricella, autrice de Il Codice del disonore. La scrittrice, infatti, ha presentato il suo libro a Mozzecane, nel veronese. Occasione, quella, in cui la studentessa ebbe modo di intervistarla.

Ora Alice si trova a São Paulo, in Brasile, dove svolge un’ attività di volontariato con Missão Paz e per questo motivo il suo intervento sarà svolto in videoconferenza zoom.

La laurea di Alice Scomazzon. Cr.ph.: Alice Scomazzon

Le donne nella ‘Ndrangheta

A differenza di quanto si è sempre generalmente pensato, il ruolo delle donne nell’ ‘Ndrangheta è sempre stato controverso. È noto ed indiscusso il carattere irrimediabilmente maschilista dell’ organizzazione e il modo in cui molte donne vivano in una condizione passiva. Eppure, per quanto esistano anche donne che godono di un ruolo più attivo, non si può non notare che questo viene sempre ricondotto in funzione del volere maschile.

Alice illustrerà, quindi, il complesso di ruoli che ‘Ndrangheta attribuisce al genere femminile: spiegherà come alle donne viene affidato il compito di trasmettere di generazione in generazione il sentimento di vendetta per un torto subito nelle generazioni precedenti. Nondimeno, esse sono incaricate di insegnare le regole della propria ‘ndrina ai figli. Alle figlie, invece, viene insegnato ad essere totalmente dipendenti dalla volontà maschile, al punto da essere controllate in ogni aspetto della loro vita quotidiana. Parlerà anche di come le donne possono essere messaggere, per permettere ai mariti in carcere di impartire direttive anchese lontanti dalle ‘ndrine. Ma soprattutto, verranno illustrate le dinamiche in cui possono diventare facilmente oggetto di scambio.

Proprio dalle donne, infatti, dipendono la ricchezza e l’ onore della famiglia, in una realtà in cui questi due beni sono strettamente connessi tra di loro.

Perchè parlarne

Parlare di donne e mafia, in occasione del mese contro la violenza di genere, ha un significato che va ben oltre il semplice mostrarne l’ esistenza.

Da un lato significa fornirsi delle conoscenze adeguate per capire la realtà da cui provengono le donne che cercano una seconda possibilità nelle società più sviluppate; o, altresì, per aiutarle a chiedere la dignità che spetta loro. Dall’ altro, significa anche saper riconoscere le linee di comportamento e di pensiero che talvolta si possono ritrovare in ambienti all’ interno della legalità stessa. Quindi, per non reiterare dinamiche che sono retaggio di un’ epoca in cui maschilismo e familiarismo regnavano senza contendenti.

La mafia è prima di tutto un atteggiamento, prima ancora che un’ organizzazione. Sapersi difendere dalla mafia, significa sapersi difendere da una mentalità: saper individuare situazioni e circostanze, che talvolta albergano nei sentimenti reconditi di culture che non prescindono ancora del tutto dalla discriminazione di genere.

“Mafioso è anche il bullo a scuola e omertosi i compagni che non ritengono opportuno denunciare l’ evento ai professori. Non basta esportare cocaina per essere mafiosi”

– Alice Scomazzon

Parlare delle donne nella mafia significa anche dare una voce a queste donne che ripongono la loro fiducia nello Stato. Cosa, questa, fondamentale in questi anni, dato che esiste una sfiducia nelle istituzioni molto profonda e grave.

La fotografa Letizia Battaglia, la fotografa, fotoreporter e politica italiana che ha documentato le realtà mafiose

Non una realtà lontana

Non si smette mai veramente di scoprire cos’è la criminalità organizzata, perchè essa evolve così come evolve anche il resto della società. Parlare di donne nella mafia significa illustrare una realtà che ci sembra lontana, ma che in realtà è più vicina di quello che crediamo, sia geograficamente che storicamente.

Geograficamente perchè la realtà dei matrimoni combinati, degli omicidi d’ onore e del traffico di esseri umani, avviene persino nella nostra stessa Penisola, oltre che nelle aree più remote del mondo.

Storicamente perchè basti pensare che fino al 1981 l’ ordinamento penale italiano prevedeva ancora la legittimità dell’ omicidio d’ onore, nonchè il matrimonio riparatore. Fino a pochi decenni fa, era considerato legittimo che un uomo uccidesse una donna se la tradiva.

“Servirebbe sicuramente un sentimento etico-politico, in grado di coinvolgere individui e gruppi, èlite e popoli su obiettivi comprensibili per rendere sconveniente la scelta dell’ illegalità”

– Citazione di Nicola Gratteri, dalla tesi di Alice Scomazzon

Le donne che cercano una via d’ uscita

Dal 2007 si sviluppa un fenomeno di donne che decidono di collaborare con la Giustizia. Ciò significa liberarsi dal circolo vizioso che le vede intrappolate in condizioni di oppressione e violenza, passare importanti informazioni, salvare la vita ai propri figli e liberarsi da una catena generazionale di criminalità. Non è un caso che queste siano sempre di più, anche se non è mai facile per loro la via d’ uscita. Al giorno d’oggi,infatti, la comunicazione digitale sempre più diffusa permette alle persone che provengono dalle realtà criminali di venire a conoscenza e di ricercare una nuova vita nelle aree più sviluppate del Paese.

Il racconto di Alice dedicherà una particolare attenzione anche a quelle che sono le tipologie di donne che decidono di ribellarsi. Prima di tutto per salvare se stesse e poi per denunciare gli scempi e le torture che tante persone come loro continuano a subire.

Lea Garofalo, testimone di giustizia italiana, vittima della Ndrangheta.

La videoconferenza si svolgerà allere 20:30, presso la sala multimediale Opificio (Palazzo Baggio). Per il pubblico ci sarà la possibilità di partecipare anche in videochiamata online (seguendo il seguente link)