Sabato 29 e domenica 30 ottobre, il Gruppo popolare “Contrade” ha fatto la sua riapparizione in palcoscenico con la nuova opera teatrale “E dai, ridiamoci su“
Di: Benedetta Breggion
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Per il Gruppo popolare Contrade, il mese di ottobre si è concluso celebrando l’ ultimo lavoro del loro regista Delio Righetti: E dai, ridiamoci su, un’opera di David Conati. A ospitare il ritorno del Gruppo il Teatro Don Mazza di San Pietro in Cariano, dopo tre anni di interruzione dovuta alla pandemia. Il gruppo è finalmente riapparso da dietro le quinte, riuscendo a riportare al pubblico quelle risate e quei sorrisi che, in questo lungo periodo di crisi, non si sapeva più dove poter ricercare.
Un lavoro minuzioso ha caratterizzato le numerose prove degli attori e di Righetti, che per la prima volta ha assistito la Compagnia alla regia. Le canzoni con cui gli attori hanno portato in scena ben più di un’emozione sono state seguite dal Maestro di canto Antonio Rocca; ad accompagnarle, nientemeno che le musiche originali del Compositore Gianantonio Mutto. Tutto questo è stato reso possibile anche dal sostegno del loro Presidente Stefano Boccianti.
Sulle righe di una commedia leggera si sono pronunciate le vicende della vita quotidiana di provincia e degli attori di varietà, che l’autore ha voluto valorizzare. Si potrebbe definire una vera e propria rapsodia di recitazioni comiche, attrazioni e canzoni. Lo spettacolo in questione vanta di essere uno degli ultimi traguardi raggiunti dall’ autore nella sua lunga e instancabile attività pionieristica. Ciò grazie anche all’ incontro e alla collaborazione di altre personalità del panorama cinematografico veronese, primo fra tutti Alberto Bronzato, ma anche Giorgio Totola.
Fondare questa Compagnia teatrale ha permesso a Delio di crescere nella sua ricerca di rappresentazione della cultura contadina, conferendole la dignità artistica che le spetta. Tutto questo, senza mai limitarsi al solo linguaggio veronese, ma confrontandosi anche con altre varietà linguistiche della Penisola.
Il teatro di Righetti, a questo proposito, ha scelto di far leva sulla sua specialità, sulla sensibilità di un mondo semplice e locale che da sempre difende a spada tratta. La capacità delle persone semplici, in altri termini, di affrontare insieme gioie e sofferenze della vita.
Nel suo orientamento alla diffusione della cultura locale e del varietà, lo spettacolo non ha mancato di celebrare tutta l’Italia nella sua unita varietà. E quale miglior modo per decantare a teatro l’ intero Bel Paese, se non attraverso le sue melodie?
Lo spettacolo ha compreso un gioioso medley di tutte le più famose canzoni regionali, gemme delle identità locali. Tra queste non potevano mancare Oh mia bela Madunina e Romagna mia, ma anche Oje vita e L’ uva fogarina. Canzone, quest’ultima, con cui i cremonesi festeggiavano peraltro il cambio di stagione, e dunque dedicata proprio a un’uva pregiata come il rubino, che il suo colore rassomiglia.
Nella cerchia di un varietà dal sapore antico, quindi, l’autore è riuscito a portare in scena la cultura locale. È riuscito nell’intento di farla vivere e sopravvivere all’ oblio che i sempre più dilaganti cambiamenti sociali impongono. Il tutto alla luce dei riflettori, agli occhi di persone che hanno sentito quelle parole, quell cantilene, vissuto quelle emozioni, imparato quei valori. Ma anche agli occhi di quelle persone, i più giovani, che questo mondo lo vedono ancora vivere negli occhi e nelle parole delle generazioni precedenti.
Insomma, il mondo catartico del teatro è luogo in cui gli attori vanno a “catarse” (a incontrarsi, in dialetto veneto) e a conoscere l’ essere umano attraverso l’ arte. Quell’ arte che serve alla società per parlare di se stessi e allo stesso tempo sublimare le proprie emozioni verso l’ edificazione collettiva dell’opera teatrale.