Il leitmotiv della campagna elettorale appena conclusa come la reiterata invocazione da parte di tutti i contendenti dell’ “interesse nazionale”
Di: Andrea Panziera
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Il leitmotiv della campagna elettorale appena conclusa, invero alquanto mediocre relativamente ai contenuti, è stata la reiterata invocazione da parte di tutti i contendenti dell’ “interesse nazionale”. Spesso, quando sentiamo questa locuzione, ne diamo per scontato il suo implicito significato. Nel corso delle mie lezioni non di rado chiedo agli studenti la loro proposizione di questo concetto e le risposte che ottengo sono le più varie, alcune abbastanza in linea con il suo reale contenuto, altre invero piuttosto pittoresche, che sembrano più che altro mutuate dal sentito dire di parti in conflitto fra loro e quindi, giocoforza, contraddittorie. A mio avviso, una delle migliori definizioni è quella che ne ha dato Marco Cassetta, noto esperto di geopolitica: “L’interesse nazionale è l’insieme degli obiettivi, delle ambizioni e delle aspirazioni di uno Stato, definiti all’interno di un’area geografica, esplicitati nelle quattro dimensioni: Politica, Culturale, Economica e Militare”. Tralascio, per ovvie ragioni di personale incompetenza, la dimensione militare ed evito di addentrarmi nei meandri di quella politica, soprattutto dopo una votazione che con ogni probabilità potrebbe segnare modifiche non marginali rispetto al biennio 2021-2022, se non altro in termini di stile di governo e di metodo di approccio ai problemi sul tappeto. Auspico soltanto che il prossimo Esecutivo riesca a confermare la performance di quello attuale, che in termini di crescita si colloca ai primi posti nella classifica UE. Come prassi, preferisco occuparmi di quella economica, la quale finisce implicitamente per impattare anche sulle altre tre. Segnalo soltanto che l’associazione fra interesse nazionale e ragion di Stato spesso, soprattutto in alcuni Paesi, è servita (e tuttora serve) per giustificare scelte che nei fatti hanno seppellito ogni considerazione di tipo etico – morale ed hanno abbattuto qualsiasi confine di liceità. Questo, non soltanto nei confronti di Nazioni terze, ma anche rispetto ad istanze civili provenienti dalla popolazione interna. Tornando alla misura economica dell’interesse nazionale non possiamo non partire, come correttamente suggerisce Marco Cassetta, dal nostro contesto geografico e dal sistema di alleanze internazionali che si è formato e consolidato dopo la seconda guerra mondiale. Come noto, l’Italia è soprattutto un Paese trasformatore e quindi l’export rappresenta una “conditio sine qua non” per ogni reale prospettiva di sviluppo. Basta dare un’occhiata alla nostra bilancia commerciale per valutare il peso dei singoli partner; ebbene, l’Unione Europea vale oltre il 50% del nostro interscambio, seguita a distanza dagli Stati Uniti. Il blocco c.d. occidentale, con marginali differenze fra i singoli settori economici, è nostro cliente per circa l’80% dei beni e servizi esportati. Non avrei molti dubbi su quale sia la giusta strada per continuare a perseguire l’interesse nazionale. Chi, per convinzioni politico – ideologiche o convenienze di altro tipo, ipotizza scenari anche parzialmente differenti da quello attuale, sicuramente non farebbe l’interesse nazionale. Punto! Sono inoltre convinto che il dovere di ogni Governo che presta attenzione alle problematiche sociali sia sicuramente quello di aiutare le classi più deboli. Ma ciò deve essere fatto utilizzando in modo responsabile le risorse pubbliche, in prima battuta verificando che i beneficiari degli aiuti spendano i denari ricevuti per gli scopi in base ai quali sono stati stanziati. Se ciò non avviene, ovvero se le contropartite minime richieste a fronte di queste erogazioni non vengono rispettate, si crea un danno per la collettività nel suo complesso e quindi non si persegue l’interesse nazionale. Ricordo infine che la Francia e la Germania, la seconda più della prima, sono i principali contributori netti dell’ Unione Europea, cioè versano più soldi di quelli che incassano. Anche l’Italia lo è, seppur in misura minore. Oltre a ciò sono i principali mercati di sbocco dei nostri prodotti. Ora, mi chiedo: in che modo si concilia con il nostro interesse nazionale l’attrito latente che alcuni partiti spesso non lesinano verso Parigi e Berlino, contrapposto al trasporto di amorosi intenti nei confronti di Stati che, pur essendo al contrario beneficiari netti (incassano molto più di quanto pagano) si oppongono a misure che avrebbero un impatto positivo non solo sul nostro sistema economico ma disinnescherebbero anche tensioni sociali latenti (leggi redistribuzione dei flussi migratori) ? Magari, prima di battere i pugni sui tavoli di Bruxelles per presunti torti nei nostri confronti , con il concreto rischio di farsi male, non sarebbe forse il caso di superare qualche evidente deficit cognitivo e valutativo che alberga a Roma e dintorni ?