Dopo una settimana di avanspettacolo istituzionale, i grandi elettori hanno preso l’unica decisione atta a non terremotare il quadro politico
Di: Andrea Panziera
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Dopo una settimana di avanspettacolo istituzionale, i grandi elettori hanno preso l’unica decisione atta a non terremotare il quadro politico e che di fatto consente all’attuale Esecutivo di procedere nel suo cammino senza troppi scossoni.
La rielezione di Sergio Mattarella è la classica soluzione che cerca di salvare il salvabile, anche se qualche strascico inevitabilmente ci sarà. L’appena riconfermato Presidente, in ogni sua apparizione pubblica e nelle conversazioni private, aveva escluso l’ipotesi di una sua ricandidatura.
Da profondo conoscitore dello spirito del dettato costituzionale, sapeva benissimo che quanto accaduto con Giorgio Napolitano avrebbe dovuto rappresentare una eccezione e che una sua eventuale replica sarebbe stata in palese contraddizione con il volere dei Padri costituenti. Peraltro, di fronte ad una impasse sempre più imbarazzante e con tutte le forze politiche ed i rappresentanti delle Regioni che in processione hanno chiesto all’unisono la sua disponibilità, non ha potuto declinare l’invito a riconsiderare i suoi desiderata di una serena vecchiaia da nonno.
La coreografia parlamentare messa in scena in questi giorni, invero fra le più scadenti e improbabili degli ultimi anni, ha avuto almeno un pregio:far comprendere all’inclita ed al colto i motivi per cui quando qualcuno parla di primato della politica, si ode sempre più distintamente un rumore di fondo assai simile ad un pernacchio di eduardiana memoria.
Nell’arco di meno di una settimana fantomatici leader politici sono riusciti a coprire di ridicolo la seconda carica dello Stato, a proferire annunci “ad mentula canis” in merito alla imminente elezione di una figura femminile al seggio del Quirinale, a bruciare uno dopo l’altro con veti incrociati ovvero proposte divulgate in termini quantomeno maldestri uomini e donne di indubbio valore che sicuramente non avrebbero sfigurato qualora fossero stati eletti.
Mi astengo dall’attribuire la palma dei peggiori attori in commedia, ma detto per inciso ne salverei pochissimi e praticamente nessuno fra quelli dei partiti maggiori.
Chi, come il sottoscritto, ha al suo attivo i trascorsi di molte primavere, ricorda che una delle espressioni più in voga nella Prima Repubblica era quella dei c. d. “Cavalli di Razza”. Con questa locuzione si intendevano contraddistinguere quelle figure politiche che per cultura, preparazione, capacità di tessere alleanze, carisma, leadership, disegno strategico o intuito del momento, si distinguevano rispetto agli altri membri del Parlamento ed erano destinati ad assumere posizioni di preminenza in questo o quel partito.
Non sono un nostalgico dei tempi passati, ma a dirla tutta mi pare che allo stato il palcoscenico tricolore sia popolato più da muli, somari o ronzini bolsi piuttosto che da purosangue.
Ed è forse per questa oggettiva e difficilmente opinabile rappresentazione che non esistono molte alternative agli occupanti delle attuali cariche istituzionali.