Prima con Botticelli, poi con Doré, si evince la dedizione nell’illustrare una pietra miliare della letteratura: la Divina Commedia dantesca
Di: Giovanni Pasquali
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A una settimana dal Dantedì, presentiamo le figure di Sandro Botticelli (1445 – 1510) e di Paul Gustave Louis Christophe Doré, (1832 – 1883), semplicemente Gustave Doré. Quest’ultimo, nel XIX Secolo, fornì un’illustrazione della Divina Commedia di Dante Alighieri talmente importante da essere ristampata ancora oggi.
Le prime illustrazioni, e i libri illustrati di conseguenza, si diffusero grazie allo sviluppo della tecnica della stampa. Così, testi già noti a un vasto pubblico vennero affiancati da un’immagine, che funse da loro decorazione. Tale immagine commentava il testo, enfatizzandone il significato.
Sandro Botticelli come precursore
Si sappia che quella di Doré non fu la prima opera organica in questo senso. Difatti, la prima illustrazione organica della Divina Commedia, secondo gli studiosi, è quella realizzata da Sandro Botticelli. Tra il 1480 e il 1495, il pittore eseguì 100 disegni su cartapecora per il manoscritto dantesco di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico.
I disegni per la Divina Commedia conosciuti sono 92. L’unico completato è quello che introduce i Canti dell’Inferno, cioè La voragine infernale. L’opera rappresenta la forma dell’Inferno, che Botticelli immagina come un grande imbuto in cui cerchi sempre più stretti e oscuri, popolati dai dannati, si stringono scendendo verso il fondo. Nel suo punto più basso, la voragine trova incastrato il terribile Lucifero.
Gustave Doré: l’eclettico, l’insofferente
Circa due secoli più tardi, dopo aver studiato la Divina Commedia, Doré ne pubblicò, tra il 1861 e il 1868, 135 illustrazioni, oltre ad alcuni dipinti e xilografie. Disegnatore e litografo estremamente eclettico – si è misurato con molte tecniche e altrettanti formati, tra cui pittura, acquerello, disegno, scultura e incisione -, egli ha raggiunto i risultati più alti nelle vesti di illustratore.
Nonostante la notorietà ricondotta prettamente all’opera dantesca, Doré realizzò incisioni di numerosi autori, sia classici (Dante, Cervantes, La Fontaine, ecc.) sia suoi contemporanei (Poe, Coleridge, Balzac, ecc.)
Nella produzione grafica, pittorica e scultorea di Doré, si individuano soggetti ricorrenti: zingari, saltimbanchi, indovini. L’artista, di fatto, nutriva un autentico interesse per il mondo festoso delle fiere e delle sagre. Altrettanto sentito fu il tema della morte e delle visioni infernali. Egli poté approfondirlo poiché stimolato dal succedersi di tragici eventi personali e storici: la morte della madre, la morte di un suo caro amico letterato e la disfatta di Napoleone III nella guerra franco-prussiana (1870), poi sfociata nella sanguinosa rivolta della Comune di Parigi.
Ogni artista sviluppa uno stile proprio, un tratto che, a mano a mano, diviene caratteristico delle sue opere. Anche Doré ne ha uno: rappresenta soggetti e situazioni inquiete in maniera estremamente cruda e realistica. Crea paesaggi infernali inediti, in cui gli alberi e le foglie sembrano essere animati e partecipare alla drammaticità del contesto. I primi, inoltre, presentano radici simili ad artigli di rapaci.
Un esempio ci è fornito dalla sua “selva oscura”. Un luogo intricato, mai toccato dalla luce, in cui Dante, apparentemente bloccato in una sorta di groviglio, fatica a trovare la strada e a muoversi liberamente. Solo l’arrivo di Virgilio gli garantisce l’accessibilità a un sentiero percorribile, stando fedelmente al suo fianco.