La satira è facilmente riconoscibile, ma non è capita con la stessa facilità. Charlie Hebdo è una testimonianza di questo plausibile problema
Di: Giovanni Pasquali
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La satira è un genere della letteratura, delle arti e della comunicazione caratterizzato da un’aspra attenzione ai vari aspetti della società. Essa mira a far ridere, criticando i personaggi e deridendoli in argomenti politici, sociali e morali.
Sin dall’Antica Grecia, la satira si è sempre occupata di attualità, con una notevole influenza sull’opinione pubblica. Si può definire uno strumento utile per divertire e, allo stesso tempo, far aprire gli occhi riguardo ciò che ci circonda. Questo grazie a peculiarità che difficilmente sarebbero mostrate in diversa sede.
Con una buona dose di abilità creativa, fantasia e ingegno, anche il più dispotico dei personaggi del passato – o del presente – può apparire in chiave buffonesca e denigrante. Il tutto inserito in vignette pungenti, dalle quali si evince la vera natura del soggetto. Alle volte, egli pronuncia una frase storpiata; in altri casi, la sua ideologia viene ridicolizzata, così come la sua immagine.
Facile riconoscerla…
Il naso allungato, gli occhi sporgenti, la bocca pronunciata, la bassezza o la grandezza eccessiva e altro ancora sono elementi condivisi e sicuramente noti a chi ha visto, almeno una volta, immagini caricaturali. Gli aspetti appena elencati sdrammatizzano politici, scienziati, filosofi e altri soggetti, ponendoli sullo stesso piano delle persone comuni – se non a un gradino più basso.
La satira non è realizzata per una questione di ripicca o di rancore, assolutamente no: ha la facoltà, prima di tutto, di informare, di rendere chiaro di chi o cosa si stia parlando. Vignette satiriche, infatti, fanno spesso da cornice ad articoli di grande attendibilità. Che siano attendibili non significa, però, che siano accettati; né, nel migliore dei casi, che siano apprezzati.
… difficile apprezzarla
Testimonianze diverse, per i temi trattati e per le vignette disegnate, evidenziano che “satira” non vuol dire sempre “visione distorta e divertente di ciò che succede nel mondo”. Più di tutti, al contrario, è l’elemento del “divertente” che pecca di trasgressione e mordacità. Questioni che il noto Charlie Hebdo conosce molto bene.
Il periodico francese si è appunto dimostrato un top di gamma nell’ambito della comunicazione satirica, trattando anche avvenimenti esteri. Sebbene sia ineccepibile l’impegno dei redattori dello stesso, ciò che ha infastidito è stata spesso la sua arroganza. Siamo stati vicini alle vittime della tragedia del 7 gennaio 2015, mostrando solidarietà con lo slogan Je suis Charlie; ma ora è diversa la presa di coscienza nei confronti di un giornale che ha reso, col passare del tempo, il suo cavallo di battaglia un cavallo di Troia.
Risvolti (in)aspettati
Charlie Hebdo ha sempre avuto un’incredibile forza comunicativa. Ha dedicato tempo e impegno alla trattazione di argomenti altamente delicati e facilmente suscettibili. Immagini forti e a prima vista efficaci rendono ineccepibile il coraggio di affacciarsi al tema del dolore dovuto alla perdita di vite umane o alla tristezza per un evento disgraziato.
Dall’insensibilità alla colpevolizzazione dei poteri forti, passando anche per il sessismo, si evince – per contro – come il periodico abbia fatto parlare molto di sé.
Alcuni degli argomenti illustrati sono: il disastro dell’incidente aereo del Mar Nero nel 2010, l’incendio della cattedrale di Notre-Dame e il mondiale di calcio femminile (entrambi nel 2019). Per quanto riguarda l’Italia, le tragedie del terremoto che ha colpito Amatrice nel 2016 e dell’hotel di Rigopiano nel 2017.
Come se non bastassero gli articoli in sé, anche i loro titoli tradiscono la piacevolezza della lettura. Il giornale si mostra per quello che è, senza mezzi termini, fin da subito: punzecchia il lettore a partire dalla prima cosa che questi vede quando apre una testata giornalistica. Terremoto all’italiana (Séisme à l’italienne) o Inizio dalla struttura (Je commence par la charpente) sono due esempi di titoli così come appaiono agli occhi dei lettori, abituati o no alla “notorietà” del giornale.
Indipendentemente da questo, non si può prescindere dal messaggio condiviso. Difatti, i poteri forti verso i quali il periodico ha mosso accuse si sono espressi contrari a queste scomode prese di posizione. C’è chi ha replicato con una vignetta realizzata sulla base di quella originale e chi ha querelato il giornale francese per motivi di diffamazione aggravata.
“Je ne suis pas Charlie”
L’anticonformismo e l’atteggiamento denigratorio del giornale hanno portato a disaccordi comuni. Qualcuno è arrivato a dire: “Je ne suis pas Charlie”, “Non sto più con Charlie”. Lo slogan introdotto nel 2015, di cui alcuni hanno oltretutto abusato, è stato fatto quindi oggetto di disapprovazione contro la stessa fonte a cui, in precedenza, ci si è avvicinati per timore che si sentisse estraniata.
Il paradosso è chiaro: la solidarietà nei confronti della redazione si è trasformata in un senso di delusione di massa. Tutti coloro colpiti da una tragedia e – successivamente e conseguentemente – puniti dalla mano dei redattori del giornale si sono sentiti presi in giro. Non si può, però, parlare di “approfittarsi della benevolenza comune per avere attenzioni garantite successivamente”.
Eppure, malgrado l’esito negativo degli articoli redatti, è innegabile che le attenzioni si siano mostrate. Queste, però, non hanno ripagato il lavoro dietro a “quelle vignette che mancano di rispetto a quel dolore, a quelle storie”. È con tali parole che Daniel Pennac, noto scrittore francese, si è espresso durante un’intervista. Nella medesima, l’attenzione verteva attorno alla tragedia del terremoto di Amatrice e alla mancanza di umanità mostrata da Charlie Hebdo nei confronti delle persone che hanno perso i loro cari.
“Io penso che neppure la satira dovrebbe calpestare una cosa importante: l’empatia […] Non mi piace chi gioca con la morte degli altri. Va detto che con Charlie tutto ciò non è una novità. Non è una novità un certo stile, che già altre volte mi ha suscitato una sensazione di disagio, anche se non detesto il giornale in sé e non amo le condanne definitive.
L’espressione ‘Je suis Charlie’ è diventata il simbolo dell’opposizione radicale e senza mezzi termini all’assassinio di giornalisti e disegnatori. Una vignetta, per quanto idiota, non giustifica affatto la messa in discussione di questo principio. […] A ognuno le sue responsabilità morali: chi offende i morti ha le sue, e noi abbiamo le nostre. È nostro dovere ribadire ogni giorno che nulla autorizza l’uccisione di chi fa satira e che niente può giustificare un massacro come quello dei giornalisti e disegnatori di Charlie”.
– Daniel Pennac, alcune risposte rilasciate nell’intervista per “la Repubblica”
Libertà = Libertà di sbagliare
Osservare una vignetta satirica vuol dire anche riconoscere le capacità di chi l’ha realizzata. Essa permette di guardare alla realtà con un occhio diverso, inedito e – perché no? – più attento. Scegliere il soggetto è a libera discrezione di chi ne farà la caricatura e comporta delle conseguenze mediatiche.
Mostrarsi prudenti nella progettazione del disegno, d’altro canto, potrebbe essere la scelta peggiore. Vorrebbe dire non voler accentuare i difetti del soggetto scelto, tratti fondanti di questa modalità di comunicazione. Se si pensa alle conseguenze, non si lavora al massimo delle proprie possibilità e con la mente libera; invece, il “bravo caricaturista” è colui che aggiunge il proprio tocco personale, senza preoccuparsi delle reazioni delle persone.
Come ha affermato in un’intervista Damien Glez, fondatore del “Le journal du jeudi”, “Ognuno può sbagliare un disegno. Ma nessuno può togliere la libertà di sbagliare. Senza la libertà non esisterebbero più satira e caricatura”.