Un timido barlume di luce rende meno fosco il futuro del Paese, ma all’orizzonte non si vedono proposte tali da modificare un quadro sempre più cupo e allarmante

Di: Andrea Panziera

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Dopo una sequela di brutte notizie, un timido barlume di luce fa capolino in questi ultimi giorni e per il momento proietta una luce meno fosca sul futuro del nostro Paese. Questo, nonostante la possibilità concreta che a breve divenga necessaria l’adozione di misure di chiusure parziali o totali generalizzate come quelle già tristemente sperimentate nella scorsa primavera, che potrebbero dare il colpo di grazia a interi settori delle PMI.

L’agenzia internazionale di rating Standard & Poor’s, che assieme a Moody’s, Fitch e ad altre società meno famose attribuisce le pagelle di credibilità e virtuosità economica a Stati e ad aziende di elevato standing, ha ribadito il suo giudizio sull’Italia a “BBB“, confermandolo due gradini sopra il livello “junk”, il grade cosiddetto “spazzatura”. Ha inoltre migliorato l’outlook, quindi la sua visione futura nei nostri confronti, portandolo da negativo a stabile.

Il Ministro dell’ Economia Gualtieri ha ovviamente commentato con favore questa notizia, dichiarando:

“La decisione di alzare l’outlook dell’Italia assunta da Standard & Poor’s conferma la solidità delle misure eccezionali adottate dal Governo nonché l’importanza del vero e proprio cambio di paradigma avvenuto nell’Unione Europea per contrastare l’emergenza Covid”.

La luce: i numeri di S&P

Le previsioni di S&P stimano che l’economia italiana subirà una contrazione nel corrente anno pari al 9%, in linea con i numeri dell’Esecutivo, con un rimbalzo del 6,4% l’anno prossimo. Il tutto sulla base dell’ipotesi che un vaccino efficace contro il Covid-19 sia disponibile per gran parte della popolazione entro la seconda metà del 2021 o che gli effetti della pandemia nel frattempo diminuiscano.

Anche gli altri dati risultano in linea con quelli via via riformulati dal MISE. Il Debito Pubblico dovrebbe infatti attestarsi attorno al 150% sul PIL, per poi scendere di qualche punto negli anni successivi. L’unica nota negativa riguarda il recupero dei livelli di PIL pre-COVID, che viene ipotizzato solo nel 2023.

Dopo la luce, il buio

Qui però finiscono le buone nuove. Facendo la tara alle solite diatribe di bassa partigianeria politica sulla tempestività delle misure fin qui adottate, spesso avanzate da chi solo 24 ore prima era contrario a ogni tipo di intervento, all’orizzonte non si vedono proposte tali da modificare un quadro che di ora in ora diventa sempre più cupo e allarmante.

La ripresa dei mesi estivi, conseguente alla presunta scomparsa della pandemia, aveva illuso su una possibile seconda parte dell’anno meno tribolata in termini di performance del nostro sistema produttivo; tuttavia, la realtà – non solo italiana – impone di rivedere in senso peggiorativo le aspettative. Una lettura non superficiale della NADEF conferma che le certezze su cui possiamo contare in termini di positività prospettica sono invero assai poche. A dirla tutta, spesso più che altro si tratta di auspici.

Le intenzioni ex ante di manovre economiche a impatto zero sui Conti Pubblici appaiono per quello che sembravano all’atto della loro formulazione, ossia delle illusioni. Il risparmio sull’onere del Debito, cagionato dal calo dello spread, è sicuramente un’ottima cosa e di questo va dato il giusto merito a chi con la sua azione di governo lo ha ottenuto; ma da solo, ammesso e non concesso che perduri e si consolidi nel tempo, non è sufficiente a far fronte alle nuove Spese, il cui ammontare si evidenzia in necessitata – e quindi continua – crescita.

Dal refrain malinconico al MES

Evocare un recupero consistente di risorse da una più incisiva lotta alla evasione fiscale appare sempre più un refrain malinconico. Metterei un grosso punto interrogativo sulla sua reale quantificazione. Alla luce del costante peggioramento della evoluzione pandemica, con conseguente peggioramento della crisi che colpisce interi settori del nostro sistema economico/sociale, il tema delle risorse, sia in termini quantitativi che di tempi della loro disponibilità, si pone in tutta la sua drammaticità.

Le recentissime difficoltà che incontra il cammino del Recovery Plan, alias Next Generation EU, peraltro prevedibili se solo se ne ricorda la genesi e la strenua opposizione dei Paesi “frugali”, con la quasi assoluta certezza che i fondi non saranno disponibili prima della metà del prossimo anno, ripropone in termini non più eludibili la questione della opportunità dell’utilizzo del MES.

Ciò presuppone l’obbligo di sgombrare una volta per tutte il campo da argomenti che ad ogni seria analisi non reggono la prova dei numeri e suonano come la estrema difesa di bandierine ideologiche adolescenziali, dimenticando che una sana autocritica frutto di un bagno nella realtà forse nell’immediato farà perdere qualche voto, ma in prospettiva contribuirà a creare credibilità come vera forza di Governo al servizio degli interessi di tutta la collettività e non solo della propria parte politica.

Accampare pregiudiziali come quella dello STIGMA (lo useremmo solo noi e questo provocherebbe un sentiment diffuso nella comunità internazionale di essere una Nazione all’ultima spiaggia) e proporre come alternativa l’emissione di ulteriori Titoli di Stato, quindi aggravando ancora di più l’indebitamento e il suo onere con un plus di interessi da pagare, non è una soluzione. Al contrario, è una sciocchezza, quantomeno in termini numerici e concettuali. E se Spagna e Portogallo rinunciassero alla componente “Prestiti” del Recovery Fund, ci ritroveremmo nella identica posizione.

Il vero problema dell’Italia

Il vero problema dell’Italia è che da anni il saggio di interesse medio sui Bond emessi dal Tesoro risulta di gran lunga superiore al tasso di crescita del PIL. Ciò non fa altro che aggravare senza soluzione di continuità lo stato dei nostri Conti Pubblici. È bene dirlo con chiarezza: chi chiude colpevolmente gli occhi su questa chiara evidenza contabile, opponendosi alle alternative di finanziamento più vantaggiose in nome di un qualcosa che arriverà, se va bene, fra 6-8 mesi, non sta facendo gli interessi del Paese.

Soprattutto, non sta facendo gli interessi di quella parte della popolazione più colpita dalla emergenza sanitaria, perché quei soldi già disponibili potrebbero essere utilizzati da subito proprio per rafforzare le strutture di quel settore ritornate in questi giorni sotto pressione.