Se oggi una persona ha successo nel lavoro e fa una carriera brillante, arrivando anche a rivestire ruoli di “comando”, non è più soltanto per i suoi titoli di studio e il suo curriculum pregresso, ma è anche grazie alla cosiddetta Intelligenza Emotiva
Di: Mariapia De Carli
Che cos’è l’Intelligenza Emotiva? Nel mondo delle professioni se ne sente parlare sempre di più. Il WEF – World Economic Forum – la inserisce persino tra le prime dieci competenze richieste entro il 2020. Lo dimostra anche una ricerca realizzata dal gruppo Sodexo: il 34% dei “cacciatori di teste”, quando fa le selezioni, attribuisce molta importanza a questa qualità.
L’Intelligenza Emotiva, in breve, è la capacità di riconoscere innanzitutto i propri sentimenti e poi quelli degli altri. Il primo a parlarne è stato Howard Gardner nel suo libro Intelligenze Multiple. Secondo lo psicologo, oltre a quella logico-matematica e linguistica-creativa, esisterebbero altre tipologie di intelligenza, tra cui quella intrapsichica e interpersonale. Insieme, queste costituirebbero proprio l’Intelligenza Emotiva.
La persona dotata di intelligenza intrapsichica ha la capacità di leggersi dentro, di non reagire agli stimoli esterni in modo istintivo, quasi animalesco. Ella sa controllarsi, prendere tempo, fare un bel respiro prima di aprire bocca. Questo le consente, di fronte ad un interlocutore, che sia un collega, qualcuno alle sue dipendenze o anche un conoscente, di riuscire a trovare le risposte più appropriate alla situazione senza cadere nell’invettiva. Una qualità che, se a parole pare semplice, nel concreto non lo è affatto. Basti pensare al clima frenetico e teso in cui sempre più ci si muove nelle città e negli uffici che, a causa della crisi economica e lavorativa che ha investito il nostro Paese e non soltanto, sono spesso luoghi in cui regnano sovrane la competizione e la paura di perdere il posto, alla faccia delle emozioni e dell’empatia. Ma questa dote di attenzione e ascolto diventa tale soprattutto quando si esprime e si estende verso gli altri. In questo caso, è possibile definirla interpersonale.
Chi ha sviluppato l’Intelligenza Emotiva, quando entra in relazione con qualcuno, capisce se chi è di fronte a lui è triste, contento, deluso oppure arrabbiato. Questo non rappresenta forse il punto di partenza per una relazione funzionale ed efficace? Avere queste intuizioni, sentire ciò che ancora non è stato detto, consente infatti di percepire l’interlocutore come una persona simile a noi. L’empatico avverte che davanti a sé c’è una persona come lui, umana, simile; quindi, proprio grazie a questa sensibilità, trova il modo corretto di instaurare la relazione.
Tuttavia, prima di renderla spendibile e applicabile, bisogna saperla riconoscere. Si tratta di una qualità più rara di quanto si possa pensare, nonché di difficile valutazione. Secondo una ricerca della Yale University viene sovrastimata dall’80% delle persone. Questo dato risulta chiaro se si pensa che in una giornata si vivono oltre cinquecento esperienze emotive, ma si è consapevoli solo di una piccolissima frazione di queste. L’Intelligenza Emotiva si può imparare, e, di conseguenza, anche riconoscere.
Nelle scuole all’avanguardia la si insegna a cominciare dalla scuola primaria, proprio perché si capito quanto sia importante sviluppare questa capacità. E posto che i capi, i manager i responsabili di gruppi di lavoro l’abbiano coltivata, in ufficio si vive più serenamente perché si ricevono consegne da qualcuno convinto che ciascun essere umano abbia risorse straordinarie, che può esprimere al meglio in un clima collaborativo, benevolo, di gentilezza e fiducia, al contrario di quello che purtroppo accade in molte situazioni in cui ai sottoposti viene trasmessa sfiducia, squalifica, ansia, paura. Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra. Queste sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo.