La nota giornalista, in un ritorno a casa, racconta il suo Abruzzo, unendo passato e presente. E la carta vincente è il linguaggio. Ogni parola è sapientemente al posto giusto. Annusa i sapori della terra restituendoli con agrodolce verità. Tradizione, magia, e clan familiare non si cancellano. Il sisma c’è stato, ha frantumato i borghi e le Madonne, non ha piegato la fierezza dei suoi abitanti.
Sono rimasto sorpreso e affascinato da alcuni passaggi di scrittura, io che sono un metropolitano e non un appassionato ancestrale. All’inizio mi ha colpito un percorso concettuale, verbale, evocativamente terrigno: “Fantasmi che si incuneano in vecchi modi di dire del dialetto abruzzese, con quella particolare sottrazione di vocali che abbiamo noi del teramano. È una lingua che paralizza le frasi, come un lago di parole ghiacciato.” Da qui una narrazione di pensieri in cui la frase si sgretola e improvvisamente si ricompone, la memoria si colora sulla pagina di humour o di magia. Non mi restava che fare alcune domande a Roberta Scorranese.
L’Abruzzo oggi. A suo parere, è rimasto un territorio ancora potenzialmente produttivo, la popolazione è ancora fiera, ha speranza nel futuro?
“Ma certamente. Il mio romanzo-reportage “Portami dove sei nata”, pubblicato da Bompiani, è proprio questo: un viaggio nel carattere abruzzese, attraverso la narrativa e le storie del passato (ricostruite con le memorie dei miei nonni e dei miei genitori) ma è anche una serie di storie del presente. Vicende dure, a volte dolorose ma sempre votate a una sorta di rinascita, di resurrezione. Per esempio c’è la vicenda della Madonna di Pietranico, una scultura in terracotta del Cinquecento che scomparve nel secolo scorso da questo paesino del Pescarese: ebbene, è stata recuperata anche grazie alla tenacia di alcuni abitanti del posto. Oppure c’è la storia dei Martinelli, proprietari di un’azienda agricola di Farindola, sempre in provincia di Pescara, i cui capannoni crollarono sotto la neve e per le scosse del terremoto del 2017: i pastori riuscirono a salvare le pecore e gli agnelli e adesso sono ripartiti con una fiducia rinnovata.”
Nel suo libro parla di legami familiari e appartenenze. La mia opinione è che la civiltà contadina non possa scomparire in Abruzzo nell’impatto con la globalizzazione e il sisma. Cosa ne pensa?
“Credo che ci sia un’attitudine, negli abruzzesi, a conservare alcuni tratti caratteristici che compongono il nostro modo di essere. Penso principalmente alla lingua: non abbiamo una grande tradizione del racconto (come i siciliani, per esempio), però sappiamo condensare le narrazioni in folgoranti modi di dire. E in una pluralità di dialetti che è stata uno dei nodi più difficili del libro, in quanto mi sono sforzata di ideare una sorta di neo-lingua. Non volevo scadere nel bozzettismo del dialetto ma nemmeno nella freddezza di un italiano asettico. Spero di essere riuscita a creare quel “tono” che rende omogenei i racconti.”
Signora lei si è focalizzata in gran parte sul territorio. Come vede oggi la rinascita della città, delle città?
“A macchia di leopardo, per usare l’espressione scontata di chi deve farsi capire. Vedo un certo fermento a L’Aquila, che ha da poco commemorato le vittime del terremoto di dieci anni fa ed è alle prese con una ricostruzione difficile, ma vedo anche le difficoltà che altre città – come la mia, Teramo – incontrano nel far fronte alla crisi economica, ai danni del sisma, ai cambiamenti culturali. Penso che l’Abruzzo debba decidersi ad adottare il cosiddetto “modello Marche” dove tutte le province fanno sistema e si aiutano le une con le altre. Ma questo non è un libro sulla stretta cronaca: è un viaggio (magico) dentro la nostra pelle. Pelle d’Abruzzo.”
Roberto Tirapelle
Portami dove sei nata Edizioni Bompiani Overlook – Formato 150×210 – Legatura Brossura con sovraccoperta – Pagine 208 (Aprile 2019)
Roberta Scorranese è nata a Valle San Giovanni, in provincia di Teramo. Vive a Milano. Giornalista, lavora al Corriere della Sera dove si occupa di temi culturali e di attualità.