E’ proprio vero che non si finisce mai d’imparare. Ero convinto che il “vaffa” , l’insulto tranchant proferito per annichilire il ricevente, non ammettesse repliche. Mi sbagliavo e la conferma me l’ha data la querelle con l’Europa sulla questione migranti. Di fronte alla minaccia “o ve li prendete o noi non versiamo più i 20 miliardi di contributi di nostra spettanza”, abbiamo assistito ad un clamoroso rimbalzo del “vaffa” vagamente ricattatorio, che ha assunto le sembianze di un garbato ma inflessibile richiamo al galateo istituzionale e alla inutilità di certe prese di posizione che hanno come unico risultato quello di metterci dietro la lavagna come un tempo si faceva con gli alunni indisciplinati e impreparati. Ci è stato ricordato che il versamento dei contributi non è un atto discrezionale ma obbligatorio per legge e il diritto internazionale disciplina tutte le possibili azioni per recuperarli in caso di inadempienza. Con una raccomandazione: imparate a far di conto, perché quello che pagate è pari a circa 13 miliardi di euro e quello che ricevete supera i 10. A queste osservazioni si è risposto che, stando così le cose, l’Italia potrebbe porre il veto sul Bilancio dell’Unione, cosa che ne impedirebbe l’approvazione essendo prevista l’unanimità. Anche questa ulteriore prova di forza potrebbe rivelarsi un petardo rumoroso quanto inutile, dal momento che la discussione sul Bilancio avverrà fra 2 anni, nel 2020. In tutti i consessi l’efficacia di un annuncio va calibrata sulla base di tempi e modi corretti, perché in caso contrario l’esito è pressoché nullo e non di rado rischia di innescare l’effetto boomerang.
Andrea Panziera