Dire di no, un’azione fondamentale per far valere il proprio “io”. Ma si può essere risoluti senza offendere?
Di: Mariapia De Carli
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Un capo che fa pressioni continue in ufficio, un’amica che pretende favori quotidiani, un genitore che si affida solo a noi per qualsiasi problema. Nella vita di tutti i giorni sono tante le situazioni a cui non riusciamo a sottrarci. Il risultato è un senso di disagio, come se fossimo in trappola. Eppure, nonostante questo non riusciamo a dire di no. Come mai? E, soprattutto, è possibile imparare?
Dire di sì, dire di no
Alcune persone, per colpa di una costante insicurezza, sono portate a dire di sì anche quando vorrebbero dire il contrario. Tendono ad aderire alla volontà dell’altro contro la loro. Non si tratta di un disturbo, ma solo di un atteggiamento comportamentale che può capitare a tutti ( in particolare nel rapporto familiare, al lavoro o in coppia) e che trova origine in un retaggio culturale per cui, fin da piccoli, abbiamo imparato che è più facile dire di sì, ottenendo così il favore e l’approvazione da parte della famiglia. È una sorta di “bisogno di compiacere i genitori“, per affetto o per timore di essere abbandonati. O è la paura di scontrarsi e perdere una relazione affettiva. Al lavoro, invece, sottrarsi a un dovere imposto da un superiore potrebbe metterci in cattiva luce.
Quando non si dice mai no, però, si arriva a una situazione di grande frustrazione che si traduce in un malessere generale. Questo modo di fare può dipendere da diverse cause, ma la principale è sicuramente il contesto familiare. Spesso ha un carattere passivo o poco risoluto chi ha avuto nella fase dell’infanzia un’educazione molto severa. Una mamma che pretende che il figlio piccolo la aiuti in faccende impegnative e in compiti strutturati, dimenticandosi della fase che sta vivendo il bambino o non capendo i suoi reali bisogni, può farlo diventare un adulto poco deciso, confuso, a volte un po’ succube. Davanti a un genitore severo, il figlio si trova infatti incapace di esprimere i propri desideri e, per non deludere papà o mamma, preferisce evitare di dire no. Questo si tramuterà, nel tempo, in una difficoltà a gestire le discussioni.
Scarsa autostima, negazione dei bisogni, incapacità di riconoscere lo sfruttamento
Se dovessimo tracciare un identikit della persona che non riesce a dire di no, troveremmo come elemento comune una figura con scarsa autostima, tendente a ignorare o negare i propri bisogni e desideri, che non capisce quando gli altri stanno attuando uno sfruttamento e non stanno semplicemente chiedendo un favore. Ma soprattutto un adulto che spera di essere accettato perché dice sempre sì.
Questo atteggiamento costituisce una modalità passiva di relazione con gli altri e, con il passare del tempo, porta il soggetto ad accumulare rabbia, malcontento e frustrazione, senza nemmeno riuscire ad ammettere a se stesso i motivi che rendono troppo disponibile. L’ansia aumenta e ogni successiva interazione con gli altri è vissuta solo con apparente serenità, mentre dentro di sé la persona teme l’arrivo di nuove richieste.
Come si può reagire?
Prima di tutto, è fondamentale arrivare ad essere consapevoli di avere questo blocco. Poi bisognerà iniziare un percorso terapeutico con un esperto che possa cambiare la propria gestione del conflitto. Il fine è quello di arrivare a far valere il proprio “io” e i propri bisogni prima di quelli degli altri. Ovviamente non in modo conflittuale. Infatti, è possibile dire no con risolutezza ma senza offendere il proprio interlocutore. Bisognerà quindi cominciare a dire no nelle piccole azioni quotidiane.
Qualche trucco? Prendere tempo per capire se vale la pena dire sì o se lo si fa solo per non sentirsi in colpa. Una volta deciso di rifiutare bisognerà evitare di inventare bugie, ma dire la verità nel modo più chiaro e semplice possibile. Si può puntare tutto sulla gentilezza, argomentando le proprie ragioni in modo deciso ma pacato, usando perifrasi che dicano no senza mai pronunciarlo. Un esempio? A un capo opprimente che non si rende conto di quanto possiamo essere oberati di lavoro, si può rispondere così : “Sarò felice di svolgere il compito che mi ha appena chiesto quando avrò finito il mio dovere assegnato in precedenza. Nel frattempo, se vuole, possiamo coinvolgere un altro collega: sicuramente sarà più scarico e disponibile per iniziare”. In questo modo si cerca di glissare una richiesta facendo capire che non ci stiamo sottraendo per mancanza di volontà, ma solo per una questione di priorità.