Il grande sito fortificato di Fondo Paviani, ubicato sul margine occidentale della paleovalle del Menago, rappresenta il centro egemone di quello straordinario sistema insediativo sviluppatosi tra lo scorcio della media Età del bronzo e l’inizio dell’Età del bronzo finale, cioè tra fine del 14° e seconda metà del 12° secolo a.C., denominato polity delle
Valli Grandi Veronesi.
Il sito nasce alla fine del 14° secolo a.C. in questa fase era cinto da un piccolo fossato
e, forse, da una palizzata. Tra la seconda metà del 13° e gli inizi del 12° secolo a.C. l’abitato si dotò invece di un imponente sistema di fortificazione composto da un grande terrapieno in terra armata e da un ampio fossato – aperto, a Est, su un’area umida – raggiungendo l’estensione, davvero record, di 20 ettari.
Nello stesso periodo esso assunse inoltre il ruolo di terminal principale delle rotte che portavano mercanti micenei e levantini nell’Adriatico settentrionale, alla ricerca sia del rame delle Alpi, sia, soprattutto, dell’ambra proveniente dalle coste del Baltico.
La polity delle Valli Grandi – di cui, oltre a Fondo Paviani, facevano parte anche gli abitati fortificati di Castello del Tardato, Fabbrica dei Soci, Terranegra di Legnago, Lovara di Villabartolomea e, forse, quelli di Terrazzo e Mariconda di Melara – conquistò questo ruolo chiave nel sistema di scambi internazionali della tarda età del bronzo per la sua posizione strategica. Essa, infatti, controllava il sistema fluviale Tione-Tartaro-Menago, vale a dire il naturale asse di collegamento tra l’Adige – lungo il quale scendevano dall’area alpina e nord-alpina il rame e l’ambra – e il Po – ovvero l’arteria che poneva in collegamento la Pianura Padana con l’Adriatico e, quindi, l’Egeo e il Mediterraneo orientale.
Alla metà del 12° secolo a.C. la civiltà delle terramare – di cui la polity delle Valli Grandi era uno dei sistemi più avanzati in termini di complessità economica e sociale – entrò in crisi e, nel giro di poche generazioni, collassò. Pochissimi – e solo a Nord del Po – furono i centri capaci di resistere a questo collasso di sistema e, tra questi, quello che rivestì il ruolo più importante fu proprio Fondo Paviani. L’emergere, a partire dalla seconda metà del 12° secolo a.C., di Frattesina come crocevia di traffici che collegavano Europa e Mediterraneo, rappresenta infatti l’esito del trasferimento di quelle che erano state le funzioni di Fondo Paviani – e della polity – sull’asse del Po.
L’esistenza del grande insediamento di Fondo Paviani, qualche chilometro a Nord-Ovest di Torretta di Legnago, fu segnalata nel 1974. Dopo alcune ricerche di superficie, nel 1983 l’allora Soprintendenza Archeologica del Veneto, effettuò il primo scavo regolare. Nel 1989 il sito fu oggetto di studio all’interno del “Progetto AMPBV-Alto-Medio Polesine/Basso Veronese” da parte delle Università di Padova e Londra.
Le indagini ebbero una svolta nel 2007 quando l’Università di Padova avviò il “Progetto Fondo Paviani”. Questa nuova ricerca, ancora in corso sotto la direzione del prof. Michele Cupitò si è mossa su tre fronti: ricerche di superficie sistematiche, rilettura delle sezioni relative al sistema di fortificazione e scavo in estensione di un settore dell’abitato. Il progetto, grazie al suo taglio interdisciplinare – l’équipe comprende infatti anche geoarcheologi, micromorfologi, archeobotanici, archeozoologi, dendrocronologi, e archeometri, appartenenti ad alcuni tra i più importanti centri di ricerca italiani ed europei – , ha consentito di affrontare tutte le problematiche chiave del sito, giungendo a pubblicare quello che, ad oggi, rappresenta uno degli studi più completi di un insediamento dell’Età del bronzo italiana.
Il progetto ha ormai raggiunto un’ampia visibilità sia nazionale sia internazionale a livello scientifico, grazie alla sua presentazione in numerosi convegni, tra i quali soprattutto la 48a Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, che si è tenuta a Padova nel 2013 (ed. 2015). Inoltre, molto articolata è stata la ricaduta del progetto a livello di tutela e valorizzazione, con le molte attività di disseminazione – una nutrita serie di convegni e conferenze per il più ampio pubblico, a tutti i livelli, e la realizzazione di una sezione permanente dedicata al sito nel percorso espositivo del Centro Ambientale Archeologico-Museo Civico di Legnago –, realizzate in accordo con il Comune di Legnago, la Fondazione Fioroni e il CAA.
In questi giorni, è in atto la 12a campagna di ricerche del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova. A seguito della conclusione dello scavo di un settore nel 2018, queste indagini si pongono un obiettivo nuovo: sulla base di una serie di dati raccolti negli anni precedenti, si sta cercando di individuare l’area nella quale, durante le prime fasi del Bronzo finale – tra la seconda metà del 12° e l’11° secolo a.C. –, cioè dopo l’avvio della crisi del sito, si è ritirata a vivere la popolazione del villaggio e di indirizzare in questo senso le future ricerche. Sul piano operativo, si stanno effettuando ricognizioni di superficie ad alta intensità, carotaggi per verificare lo stato di conservazione dei depositi sepolti e prospezioni geofisiche per verificare la presenza di anomalie che possono indicare la presenza di strutture sepolte. L’équipe è composta, non diversamente dagli anni precedenti, da docenti del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova e da studenti, specializzandi, dottorandi e assegnisti del medesimo Ateneo. Le indagini sono condotte in collaborazione con il Comune di Legnago e la Fondazione Fioroni come Centro Ambientale Archeologico – Museo Civico.