di Ida Motteran.
Mi ricordo ancora quando pensavo che avere 16 anni fosse essere adulti. A quasi 22 mi domando: siamo mai davvero adulti sul serio? A 16 anni ero vittima di quel fascino filo – americano che tutti gli adolescenti sperimentano. O almeno tutti gli adolescenti che consumano popculture nella quantità in cui lo facevamo io e i miei coetanei (leggi: “un sacco”).
Gli USA sembravano il luogo della vita attuale, il centro della modernità. Ciò nonostante, non ho mai davvero pensato di viverci e la mia opinione per ora non è cambiata. Sapevo però con certezza una cosa sul luogo del mio futuro, e cioè che in Italia non volevo rimanere. Me la sentivo stretta, incomprensibile, impossibile da identificare come qualcosa a cui io potessi appartenere.
E così è rimasto fino a quando non sono partita per l’Università. Studio International Relations and Sociology alla UCD, University College Dublin. Dublino era una città che per diversi motivi consideravo già casa mia da prima di partire. Una città cosmopolita, accogliente e non invadente.
Eppure nel giro di un anno ho cominciato a sentire di nuovo quel bisogno di muovermi, prendere la valigia, il passaporto e partire per la destinazione successiva.
L’occasione l’ho avuta con Erasmus, e ora a poche settimane dalla fine del mio anno accademico a Praga, nella Repubblica Ceca, mi ritrovo a pensare che forse la distanza ci aiuta a mettere le cose in un’altra prospettiva.
Per chi l’Erasmus non lo conosce, penso che si possa riassumere come l’incontro e il confronto continuo di diverse persone e diverse culture. Vuoi perché sei sempre con ragazzi che del tuo paese non conoscono granché, vuoi perché c’è molta curiosità nell’aria, mi sono ritrovata a parlare dell’Italia molto più spesso di quello che avevo immaginato.
Non so bene se sia stato quello, o la lontananza, ma ho cominciato a rendermi conto di una cosa: per l’Italia provo molto più affetto di quello che credevo. Mi ritrovo con il sorriso sulle labbra quando ne parlo, a difenderne abitudini e costumi. Un affetto che non sapevo di avere per la lingua italiana, la lingua con la musicalità più bella.
Insieme a questo risveglio d’affetto, ne è avvenuto anche un altro: il desiderio di attivarmi, di essere coinvolta. Per restituire ad un paese, uno Stato che mi ha dato più possibilità di quelle che sono in grado di realizzare, almeno un po’ di quello che ho ricevuto.