“Camminare fra le nuvole”: Francesca Bassani racconta la sfida con la disabilità, dimostrando come le passioni possano diventare una forza

Di: Sofia Boscagin

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«Questo non è un libro sulla disabilità. È un libro sulla forza di chi continua a sorridere anche quando il mondo lo guarda con pietà. È un libro per chi si è sentito fuori posto, troppo lento, troppo fragile, troppo vero. Racconta una storia vera. Ma anche la storia di tante persone che ogni giorno lottano con un corpo che non risponde e con una società che non sa ascoltare. Parla di dolore ma anche di rinascita. Di silenzi. Di acqua che cura. Di danza che accoglie.» — Francesca Bassani

Ecco cosa accade quando la diversità non è un limite: la fragilità diventa forza, un motore per andare avanti e scoprire se stessi. Francesca Bassani, laureata al DAMS (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo), studentessa magistrale in SPM (Scienze dello spettacolo e produzione multimediale) e rappresentante dell’area inclusione all’università di Padova, pubblica a soli 24 anni ”Camminare fra le nuvole”, la sua autobiografia.

In questo libro, Francesca racconta la sua storia: il ruolo all’università, l’esperienza al Servizio Civile Universale, il giornalino per i bambini e l’amore per la danza, per il nuoto e per la scrittura. Un esempio di rara bellezza e di passione per la vita.

Come è nato Camminare fra le nuvole? Cosa ti ha spinta a raccontare la tua storia in un libro?

«Quello che mi ha spinta a scrivere è stato il mio vissuto personale. Negli anni ho incontrato ragazzi della mia età — e anche più piccoli — che soffrono a causa di una società che non funziona; nei loro volti mi sono riconosciuta, perché anche io ho vissuto quel buio».

Perciò hai provato l’esigenza di raccontare la tua esperienza?

«Esatto, penso che possa essere utile non solo ai ragazzi della mia età, ma anche agli adulti, sempre presi dalla fretta e dalla pesantezza del lavoro, che non vivono la vita come si dovrebbe e percepiscono tutto come un peso. Quindi il mio intento è di far capire che si può vivere anche con leggerezza e spensieratezza, come i bambini che giocano con tutto, fanno tante domande, sono curiosi e soprattutto sognano. Alzare gli occhi al cielo, guardare, sognare il proprio futuro, realizzare i propri sogni; mentre oggi, spesso, ci si demoralizza e non ci si crede abbastanza».

Quindi, quando parli di Camminare fra le nuvole, ti riferisci proprio a questa leggerezza?

«Sì, a questa spensieratezza e alla voglia di vedere nelle cose negative una forza. Vedere solo il lato negativo demoralizza, mentre considerare la situazione da più prospettive dà forza e aiuta ad andare avanti. Le nuvole portano proprio a questo senso di leggerezza».

Immagino che in certi momenti non sia stato facile mettere nero su bianco le tue emozioni. Ma una volta terminato, come ti sei sentita?

«Non è stato facile, ma devo dire che io ho la passione per la scrittura, scrivo da sempre. Tuttavia, nel libro racconto un periodo in cui ho vissuto la scrittura come una trappola, un qualcosa che non dovrebbe esistere nella vita. Alcune parole che una maestra ha detto, dopo aver letto davanti a tutti un mio tema, mi hanno fatto credere che la scrittura non fosse il mio ambito. Più tardi, invece, ho trovato nella scrittura una terapia, una cura, e da lì ho sempre continuato a scrivere. Scrivo quando mi sento sola, e ciò mi aiuta a comunicare non solo con gli altri ma anche con me stessa. È stato terapeutico più di qualsiasi altra cosa, non solo in positivo, ma anche in negativo, perché sono passata attraverso momenti duri in cui ho ripescato nella mente episodi e cose vissute; non è stato facile metterle nero su bianco. Ci sono stati momenti in cui ero bloccata e le emozioni non venivano fuori, però ho pensato di doverlo fare perché potrebbe anche essere utile a qualcuno. Alla fine mi sono sentita incredula perché ho fatto qualcosa di grande, che ho sempre sognato. Ci ho messo un po’ a realizzarlo».

Cosa diresti a quella maestra?

«Direi che forse aveva ragione, ma che non ha capito cosa c’era in quelle parole perché vedeva solo quello che è la dislessia, o ciò che una disabilità nella scrittura può comportare. Lei, alla fine, vedeva solo esteriormente, non è andata oltre alle parole».

Scrivendo, tuttavia, sei riuscita a elaborare questo episodio, a trarne il positivo?

«Sì, sono riuscita a non vedere solo il lato negativo, ma anche ciò che mi ha portato quell’esperienza. Portarmi dietro episodi negativi in cui gli altri mi hanno fatta star male, e continuare a rimuginarci su fa malissimo solo a me. Agli altri non importa, non ci stanno male, perché devo continuare a soffrirci solo io? Allora bisogna soprattutto imparare a perdonare e andare avanti. Il perdono mi ha fatto vedere ciò che questa situazione mi ha portata ad essere, a vivere in un altro modo e dire alla mia maniera grazie».

Francesca Bassani durante il saggio di danza del 2025 (Foto di Nicola Burighel)

Nel libro racconti la difficoltà di crescere con una disabilità, ma soprattutto parli del tuo amore per la vita e della forza che nasce dalle fragilità. In che modo passioni come il nuoto e la danza ti hanno sostenuta in certi frangenti?

«Il nuoto ha sempre fatto parte di me, da quando sono nata. Ho iniziato a pochi mesi. All’inizio l’acqua mi faceva paura, non è stato semplice. Dopo, però, il nuoto mi ha aiutata a percepire il corpo non come un peso ma con leggerezza, un qualcosa su cui ”volare”, sentirmi libera, leggera, uguale agli altri.
Anche la danza, all’inizio, è stata difficile. La società pretende che nella danza il corpo debba essere in un determinato modo. Io, invece, ho iniziato per passione perché volevo provare, anche solo per il mio benessere. Ad oggi posso dire che la danza mi libera, svuota la mente, mi aiuta a essere me stessa e, soprattutto, mi insegna a non pensare troppo, a vivere il momento, a esserci e a vivermi sotto un altro aspetto».

Vuoi raccontarci il tuo ruolo di rappresentante dell’area inclusione all’Università di Padova e cosa significa per te ricoprirlo?

«Mi sono candidata perché il tema dell’inclusione mi è sempre stato caro, fin da piccola. So cosa significa l’esclusione. So cosa significa essere etichettata per qualcosa che è visibile — o anche no — e ad essere sempre giudicata e messa ai margini. Ho sempre notato tanta disinformazione riguardo le disabilità. Ancora oggi la sento moltissimo non solo nei miei confronti, ma anche nei confronti degli altri. Il mio obiettivo, quindi, è sensibilizzare su questo tema, perché l’università non sia un privilegio, ma un diritto di tutti. È così che dovrebbe essere, anche se purtroppo non lo è ancora».

Nel libro racconti anche la tua esperienza nel Servizio Civile Universale. Che insegnamenti e che emozioni ti ha lasciato?

«Ho capito che quest’esperienza può essere per tutti e che si può veramente dare un aiuto concreto. Impegnare la propria vita per un anno è dura, però il modo in cui la si vive cambia le cose. È un’esperienza da fare perché ti dà tanto non solo a livello di competenze, ma anche sul piano umano, perché hai modo di confrontarti con tante realtà, conosci nuove persone e, grazie al contributo mensile, puoi sentirti un po’ più indipendente».

E tu che ruolo hai avuto?

«La maggior parte del tempo sono stata in amministrazione, in segreteria e ho anche fatto laboratori con i bambini. Ogni due settimane scrivevo un giornalino in cui raccontavo, non solo scrivendo, ma anche con fotografie, le attività svolte in questi laboratori. Il giornalino è stata una mia iniziativa nata dalla passione per la scrittura. Doveva essere un ponte, un tramite tra due generazioni molto diverse, infatti, spesso figli e genitori non si parlano. Con il giornalino — non solo attraverso il racconto fotografico e scritto, ma anche con domande guida — volevo dare modo ai genitori di chiedere ai figli cosa avessero fatto in laboratorio».

Hai avuto un’idea geniale, bellissima.

«Sì, spero che venga portata avanti, perché ha funzionato: ha trasmesso energia positiva a entrambi, è piaciuta molto anche ai genitori».

C’è qualcosa che vorresti raccontarci, riguardo al tuo libro, alla tua esperienza o ai tuoi prossimi progetti?

«Ho provato una forte esigenza di scrivere, perché viviamo in una società in cui si peggiora, c’è sempre meno amore, meno relazione e più voglia di fare guerre e violenze. Si parla solo di questo e poco di aspetti ed emozioni positive. Come se tutto il bello si stesse un po’ spegnendo. Per i giovani è tutto più difficile, il mio libro vuole essere un contributo concreto e accendere un po’ quella speranza, vedere una luce per il nostro futuro e quello di chi verrà. È anche un invito agli adulti ad essere presenti, ad ascoltare qualcuno che viene da un tempo successivo e che quindi ha idee diverse. Senza giudicare».

E tu sei contenta di questo traguardo?

«Sì, assolutamente. Sono contenta perché già adesso vedo i primi risultati. Persone che hanno letto, o ancora mi stanno leggendo, sono felici e commosse. È una storia intensa e magari qualcuno si è ritrovato. È stato un modo per parlare di diversità, dare speranza e luce».

Grazie.

La copertina di ”Camminare fra le nuvole”, libro di Francesca Bassani

«E se c’è una cosa che ho capito, è questa: non serve avere tutte le risposte. Non serve neppure avere un piano preciso. Basta esserci. Con onestà. Con presenza. Con quella tenerezza che si ha verso le cose fragili. Perché anche noi siamo fragili. Ma nella fragilità, c’è la nostra verità più pura. Lì dove ci lasciamo vedere davvero, senza difese, senza pose.» — Francesca Bassani, Camminare fra le nuvole

«Oggi so che non devo essere tutto per tutti. Che non devo spiegare chi sono, se chi ho davanti ha già deciso chi devo essere. So che la mia voce ha valore, anche quando trema. E che il mio sentire è un dono, non un difetto.» — Francesca Bassani, Camminare fra le nuvole