Come un poeta con le parole, Mario Giacomelli costruisce i suoi mondi attraverso segni essenziali, frammenti di luce e ombra carichi di suggestione

Di: Maria Mele

LEGGI ANCHE: La forza del colore: Roberto Capucci a Villa Pisani

Parafrasando il titolo della mostra che Palazzo Reale Milano dedica a Giacomelli. Il fotografo e il poeta, potremmo invece scrivere: il fotografo è un poeta. Come un poeta con le parole, infatti, costruisce i suoi mondi attraverso segni essenziali, frammenti di luce e ombra carichi di suggestione.

Nel centenario della morte, l’Archivio Mario Giacomelli ha voluto restituire la complessità e l’originalità dell’opera del maestro con due mostre, tra loro complementari, accolte nelle sale del Palazzo delle Esposizioni di Roma (Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista) e Palazzo Reale di Milano, (Mario Giacomelli. Il fotografo e il poeta), offrendo insieme uno sguardo completo sull’opera dell’artista, una delle figure più originali e riconosciute della fotografia italiana del Novecento, che si colloca in un punto di passaggio tra la modernità ancora legata al realismo e la sensibilità postmoderna. 

Mario Giacomelli, Bando, 1997-99 Courtesy Archivio Mario Giacomelli © Archivio Mario Giacomelli

Autodidatta, poeta visivo e sperimentatore instancabile, Giacomelli ha saputo trasformare la fotografia in un linguaggio profondamente personale, capace di raccontare la realtà con intensità lirica e libertà formale.

Come scriveva di lui il critico Germano Celant, “le sue immagini… rivelano una prepotente devozione al vedere interiore” attraverso uno sguardo che non descrive ma evoca, che scava sotto l’apparenza delle cose, riducendo il visibile all’essenziale per lasciare spazio alla poesia.

Mario Giacomelli, Caroline Branson da Spoon River, 1958, © Archivio Mario Giacomelli

Il percorso prende le mosse dalle raccolte Per poesie e Favola, verso possibili significati interiori, seguono le serie ispirate ai versi di Giacomo Leopardi, Sergio Corazzini, Vincenzo Cardarelli, Edgar Lee Masters, Eugenio Montale, Léonie Adams, Franco Costabile fino alla vera e propria collaborazione con il poeta Francesco Permunian. Fulcro della mostra è la sala dedicata a Io non ho mani che mi accarezzino il volto, realizzata nei primi anni Sessanta e considerata una delle vette assolute della fotografia del Novecento, insieme ad alcuni scatti dell’altrettanto celebre serie di Scanno. 

Mario Giacomelli, Caroline Branson da Spoon River, 1967-73
© Archivio Mario Giacomelli
4

La mostra si propone di evidenziare come l’opera di Giacomelli, (che di sé scriveva: io non faccio il fotografo, non so farlo) debba essere considerata un dialogo visivo che apre nuove prospettive interpretative, un nuovo modo di esprimere la vastità della dimensione umana. Un tentativo di creare un ponte tra l’interiorità e il mondo esterno.