Analisi della crisi globale: crisi dei diritti, geopolitica del potere e incognite per le nuove generazioni in un mondo sempre più instabile

Di: Andrea Panziera

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È inutile girarci attorno: il periodo storico durato quasi 40 anni, dalla caduta del muro di Berlino fino ad oggi, che ha garantito in quasi tutto il mondo un lungo periodo di non belligeranza, di prosperità diffusa, caratterizzato dalla conquista di diritti sociali, dal riconoscimento di quelli delle minoranze e delle fasce della popolazione più svantaggiata, è di fatto archiviato. Certo, coloro che si riconoscono in questi valori continueranno a far sentire la loro voce, si batteranno per non ammainare la bandiera della lotta alle disuguaglianze, non si arrenderanno di fronte ai nuovi scenari che si prospettano con sempre maggiore forza e, ahimè, desolante ineluttabilità. Ma rischia di essere una battaglia inane, soprattutto perché i cantori e gli artefici di questo ritorno alla “stagione degli imperi” hanno dalla loro una forza economico – finanziaria di dimensioni inusitate, concentrata in poche mani e con intenti comuni, palesi o ben riconoscibili. Il loro è lo storico modus operandi dei mercanti: al giusto prezzo tutte le merci sono vendibili e acquistabili, con buona pace di coloro i quali possono considerarle indigeribili. Ed eventuali dissidi o difformità di idee, opinioni o interessi si ricompongono in ristretti consessi nel solco della condivisa logica pecuniaria. Aldilà delle illusorie o mendaci dichiarazioni di facciata, degli ostentati protagonismi di alcuni che producono molto fumo e raccolgono poco arrosto, la realtà si va sempre più palesando come un ritorno ai canoni classici della contrapposizione imperiale. Ciò non significa necessariamente che le sue conseguenze saranno belliciste; quindi, almeno per il momento, niente guerre all’orizzonte.

Di contro, gli Stati che non accetteranno e si opporranno a questa nuova configurazione dei rapporti internazionali, o non si adegueranno al ruolo di vassallo di questo o dell’altro impero, con ogni probabilità ne subiranno le dure conseguenze, politiche ed economiche. A conferma della fine della primazia della visione liberaldemocratica occidentale, fondata sull’autodeterminazione dei popoli e sul rispetto della sovranità delle singole Nazioni, sullo sviluppo di libere relazioni politiche e commerciali, basta effettuare un’analisi non miope delle parole e degli atti ad esse conseguenti. È innegabile che fino all’invasione dell’Ucraina da parte dello scarsi crinito zar assiso al Cremlino, il mondo abbia vissuto un lungo periodo di pace, benessere e diffusa prosperità, al netto della recrudescenza di sacche di terrorismo manifestatasi nel primo decennio del ventunesimo secolo. Lo attestano senza tema di smentita i numeri nella loro globalità. Certo, stiamo parlando di un mondo unipolare, con gli Usa che sostanzialmente hanno guidato le danze e tutti gli altri hanno seguito, cosa che non ha fatto piacere a tanti, Russia e Cina in primis, ma non solo. Tuttavia è innegabile che questo mondo abbia funzionato, almeno fino al 24 febbraio 2022. L’invasione dell’Ucraina ha cambiato lo status quo, creando incertezza e scenari futuri carichi di incognite e rischi, potenziali ma anche reali. La questione, invero, va ben aldilà delle pretese di annessione della parte russofona o del mantenimento della presa sulla Crimea; è del tutto evidente l’intenzione di rinverdire i fasti dell’epoca zarista , esercitando un controllo diretto o tramite il supporto a governi fantoccio, sugli Stati che erano politicamente schierati con l’Unione Sovietica. I recenti avvenimenti in Georgia, le sempre più frequenti minacce verso i tre Paesi Baltici, i ripetuti incidenti ad infrastrutture subacquee terze nel Mare del Nord, le reiterate ingerenze durante le campagne elettorali degli Stati confinanti, sono segnali concordanti di una precisa e pericolosa strategia politica. Il tutto, corroborato da intrusioni sempre più frequenti nei sistemi informativi dei Paesi occidentali, azioni di sabotaggio, “disinformazia” sparsa a piene mani da sedicenti intellettuali occidentali a cui sarebbe il caso di pagare un biglietto di sola andata per permetter loro di scaldarsi al “sol dell’avvenire. Gli esperti che, numeri alla mano di fonte russa, hanno analizzato la situazione economica attuale, al contrario delle professioni di ottimismo di Putin, concordano nel definirla disastrosa, con una inflazione fuori controllo, fallimenti aziendali a raffica e tassi di interesse stabilmente sopra il 20%. Sta un po’ meglio la Cina, il principale alleato di Mosca, ma il sostegno al settore immobiliare al collasso ed al sistema bancario che lo ha foraggiato, ha causato un aumento fuori controllo del Debito del sistema economico nel suo complesso, che oggi si attesta ad oltre il 250% del PIL.

Nel mentre, le minacce di invasione di Taiwan sono sempre più concrete, così come le intimidazioni verso le Filippine e le altre Nazioni del Pacifico, rispetto alle quali Pechino rivendica diritti sul Mar Cinese Meridionale. Come commentare infine le prime pirotecniche esternazioni ed i provvedimenti della neo insediata amministrazione trumpiana? Dai dazi verso gli Stati confinanti, che inevitabilmente troveranno risposte uguali e contrarie, a quelli minacciati contro l’UE, alle deportazioni forzate di massa di immigrati, soprattutto ad uso telecamere, alla minacciata occupazione della Groenlandia, fino alle bufale più inverosimili e odiose: la bionda portavoce del tycoon, nella iniziale conferenza stampa, ha pomposamente annunciato che gli USA hanno bloccato l’invio di un miliardo di preservativi verso Gaza, mentre nelle stesse ore il neo presidente, parlando dello spaventoso incidente aereo sopra il Potomac a Washington, ne attribuiva le cause ai neri, gay e disabili assunti dalle compagnie di volo per colpa o su pressione della passata amministrazione democratica. Cosa aggiungere a commento di queste parole vergognose e di questa deriva internazionale sempre più rapida e preoccupante? Come canterebbero Guccini e i Nomadi, “Noi non ci saremo”, ma un mio caro amico giustamente obiettava che ci saranno i nostri figli e nipoti. La questione sul tappeto è proprio questa: se le giovani generazioni non raccoglieranno il testimone dei diritti sociali e delle libertà individuali che si sono consolidate dopo le lotte della seconda metà del secolo scorso, facendole divenire patrimonio del loro pensiero e delle azioni conseguenti, non alzeranno la voce per difenderle, per loro il futuro rischia di divenire un incubo esistenziale. Un recente sondaggio effettuato da uno dei principali giornali inglesi rafforza, ahimè, questo scenario: oltre il 50% degli intervistati under 25 si è dichiarato favorevole all’avvento di un uomo forte, la cui mission dovrebbe essere quella di ridurre o abolire i diritti delle donne, delle minoranze di genere e razza, di riportare ordine sopprimendo le libertà civili. Spero di sbagliare, ma ho la sensazione che questo vento infausto si appresti a spirare forte in molti luoghi del nostro Continente e non solo.