Un’analisi sulla crisi della razionalità e l’ascesa di visioni distopiche nella politica contemporanea in un’era di nuove tecnologie

Di: Andrea Panziera

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Forse sarà una mia impressione, la cui scaturigine con buona probabilità va attribuita all’approssimarsi delle nuove frontiere tecnologiche, che già in parte sono state valicate con lo sviluppo del metaverso e le prime, ma nel contempo affascinanti e allarmanti applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale. Gli scienziati stessi non paiono affatto concordi sul giudizio riguardo i suoi effetti ed anzi alcuni invitano espressamente alla cautela, se non proprio alla creazione di un’ efficace rete condivisa di controllo del suo utilizzo e dei suoi effetti. Quel che nel frattempo si palesa in termini di non negabile constatazione e fra loro inconciliabili è la sempre più frequente rappresentazione contrapposta della realtà. Da un lato, essa viene descritta come la quotidiana sfida per affrontare e risolvere i problemi e le sfide quotidiane, in campo economico, sociale e generazionale, secondo i classici canoni dell’azione politica. Dall’altro, in molti Paesi si afferma, con sempre crescenti proseliti, una sua visione distopica, alternativa, paranoide e oggettivamente nutrita di elementi che dalla violenza verbale possono condurre in tempi relativamente brevi a quella fisica, a forme d’odio giustificate dalla bandiera della difesa dei confini nazionali contro i nuovi barbari invasori. Poco importa che tale narrazione si regga su un racconto alimentato da immagini e notizie false, che però una parte importante dell’elettorato reputa come vere. Presso fette crescenti della pubblica opinione, la facoltà di distinguere la verità comprovata dai numeri dalle bufale fondate sul nulla o su evidenti distorsioni e semplificazioni di contesti complessi si è praticamente azzerata, imboccando forse irreversibilmente la via dell’eclissi della ragione. Come dicevo poc’anzi, il dato più preoccupante riguarda l’estensione geografica di questa deriva, i cui confini si spostano senza soluzione di continuità. Esempi? La morte cerebrale, ormai certificata, della memoria storica, accompagnata in molti casi dal patetico e pericoloso tentativo di riscrittura di vicende passate, con l’obiettivo di dare nuova vita e linfa a idee e conseguenti azioni che si propongono di mettere in discussione tutto il sistema di valori che faticosamente il consesso internazionale ha costruito e consolidato dopo la seconda guerra mondiale. Le recenti elezioni in Germania e Austria, entrambe culla dell’ideologia nazista, hanno registrato la forte avanzata e, nel secondo caso, il successo maggioritario di forze che più o meno palesemente si ispirano a quella nefasta esperienza storica, rivendicandone più o meno apertamente l’ideale eredità. Negli Stati Uniti, dove fra 10 giorni si eleggerà il nuovo Presidente, quasi tutti i pronostici concordano nel dare un vantaggio a Donald Trump. Egli, dopo aver dileggiato per mesi l’attuale inquilino della Casa Bianca per via della poca lucidità mentale cagionata dall’età avanzata, in un recente comizio ha dato non equivoci segni di squilibrio, restando in silenzio per mezz’ora muovendosi al ritmo di brani musicali; in un altro ha confuso nomi, date e circostanze, palesando le stesse defaillance cognitive del suo successore. Alcuni giorni fa ha evocato il possibile intervento dell’esercito per “gestire persone all’interno” degli Stati Uniti, persone che a suo dire sarebbero cattive e malate, “pazzi della sinistra radicale”. In più di una occasione ha taciuto sul riconoscimento del risultato in caso di sconfitta elettorale, preconizzato in tal modo un attacco – bis al Campidoglio. Molti osservatori indipendenti si spingono oltre: nei loro report parlano espressamente di una rete di supporter locali il cui compito sarà quello di cercare di manipolare l’esito del voto nelle contee chiave, proclamando in anticipo la vittoria e disconoscendo il responso delle urne in caso contrario. Il tutto accompagnato da contestazioni di piazza, disordini e ricorsi ai giudici, con l’obiettivo di rallentare l’iter di insediamento del nuovo Presidente. Per chi si fosse preso la briga di leggere i programmi di Trump e quelli dei suoi estimatori europei, buona parte dei quali addirittura lo superano quanto ad estremismo e istigazione all’odio, appare subito palese la comune presenza di parole d’ordine ricolme d’odio, prodrome di future tensioni sociali e nel contempo la totale carenza di proposte realmente praticabili ed eticamente accettabili. Manca una qualsiasi, anche mediocre, analisi sulla scaturigine di fenomeni complessi come l’immigrazione, le crisi economiche, i conflitti internazionali e si negano temi non più eludibili come i cambiamenti climatici ed i diritti individuali e collettivi, se non quelli in stretta relazione con gli interessi di lobby potentissime (leggi National Rifle Association). Un recente studio sui flussi di preferenze delle recenti tornate elettorali nel Paesi europei e sulla base dei simpatizzanti trumpiani ha attestato una considerevole assonanza di profili fra i rispettivi supporter: in entrambi i casi la maggioranza dei votanti appartiene a classi sociali medio – basse, ovvero ad ex appartenenti al ceto medio downgradati, incattiviti a causa del loro nuovo status, che imputano la loro condizione ai torti loro inflitti dalla classe politica ora al potere. Alcuni analisti attribuiscono questo trend all’incapacità dei leader dei partiti c.d. “progressisti” di instaurare o di ritrovare un dialogo con quella parte di elettorato, in primis la mitica classe operaia, che un tempo rappresentava lo zoccolo duro del loro bacino di voti. In questa disamina può indubbiamente trovarsi una parte di verità: una carenza di abilità di leadership è oggettivamente visibile in partiti e movimenti che si definiscono “progressisti”. Ma forse la spiegazione è un po’ più complessa e non può prescindere dall’esame della evoluzione complessiva delle nostre società, in primis quella del livello culturale medio delle persone, dal modo di fare e ricevere informazione, dal ruolo e dalla fruizione dei vecchi e nuovi media, dalla capacità o meno di intercettare le pulsioni e tradurle in consenso. Alcuni giorni fa ho incontrato, dopo molti mesi, un vecchio amico con il quale nel passato ho condiviso una molteplicità di idee, principi, valori e azioni nel sociale; ci siamo ritrovati a parlare di un mondo che, rispetto ai nostri desideri e aspettative, è profondamente mutato. Io ricordo ancora un vecchio pensionato, mio vicino di casa a Milano, che dedicava gran parte del suo tempo libero al proselitismo politico ed alla distribuzione, a cavallo di una vecchia bicicletta con annessa cassetta di legno posta sul parafango posteriore, dell’allora giornale di partito. Il tutto, per puro spirito di credo politico e su base volontaria. Un modello di vita oggi quasi improponibile. Questa immagine mi è tornata alla mente quando il mio amico ha menzionato i valori in cui entrambi credevamo allora e che sono rimasti immutati nel tempo, a dispetto del mondo che attorno a noi spesso li ha seppelliti: giustizia sociale, onestà intellettuale, pari opportunità economiche, adeguato riconoscimento al merito, solidarietà. Aldilà di molte professioni di condivisione parolaia, di questi principi nella realtà quotidiana a tutti i livelli è rimasto poco o nulla. Spesso oggi a prevalere è la logica dell’effimero e spesso fallace tornaconto di breve periodo, criterio di scelta che è diventato prassi anche e soprattutto per chi si trova nelle posizioni di retroguardia. Il mio amico l’ha riassunta con una analogia fulminante nella sua efficacia: se il mio nipotino di 6 anni dovesse scegliere fra un diamante ed un cioccolatino, non avrei dubbi su cosa prenderebbe. A pensarci bene, qualche volta quella che appare la spiegazione più banale è anche la più veritiera.