La vicenda che ha coinvolto Imane Khelif e Angela Carini ha generato un’ondata di polemiche con prese di posizione da parte dei vertici politici

Di: Andrea Panziera

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Al sostantivo follia sono stati accostati una molteplicità di aggettivi, che trascendono e non di rado si contrappongono a quello che è considerato il sinonimo più comune del termine, ovvero pazzia. Nella sua accezione socioculturale più vasta, spesso nel concetto di follia non soltanto si tende a includere un particolare stato psicofisico “alterato” di alcuni individui, ma più in generale la manifestazione di una condizione di ‘diversità’ o di non omologazione verso modelli di c.d. ‘normalità’ sociale. Nel corso dei secoli le Arti, la Letteratura, la Musica hanno dato voce con opere poi divenute immortali a questo concetto: la lirica, con il Nabucco, la Lucia di Lammermoor e molte altre; le tragedie greche, quelle shakespeariane o, in termini differenti ma parimenti incisivi il Don Chisciotte di Cervantes. Come dimenticare poi Jacopone da Todi, con la sua esaltazione mistica “Senno me par e cortesia, empazzir per lo bel Messia”, o il filosofo Erasmo da Rotterdam , con il suo Elogio della Follia? In epoca moderna le citazioni possibili sarebbero infinite e di frequente molti critici illustri sono concordi nel ritenere che alcuni capolavori si sono materializzati proprio per un pizzico di follia presente nella mente degli artisti. Peraltro già Platone, in uno dei suoi dialoghi maggiori, il Fedro, distingue una follia buona da una follia cattiva; e della pazzia non esita a dire che “i maggiori beni ci sono elargiti per mezzo d’una follia che è un dono divino”. Come, infine, non ricordare che uno degli ossimori più usati ed abusati in politica ma non solo è proprio quello della “lucida follia”?

A questo punto i nostri lettori si chiederanno il perché di cotanta introduzione ed in quale misura e contesto quanto appena scritto possa o debba riferirsi ai Giochi olimpici di Parigi. La risposta è implicita nella reazione, ovvero nella sua mancanza, ad alcuni avvenimenti di segno opposto che, nel bene o nel male, stanno contrassegnando l’andamento dei Giochi. Partiamo dal primo, che ci vede nel ruolo di sconvenienti protagonisti. Mi riferisco alle indegne polemiche seguite all’ottavo di finale della categoria +66 kg del pugilato femminile, disputatasi il 1 agosto. L’atleta azzurra Angela Carini, dopo 46 secondi, ha abbandonato il match contro l’algerina Imane Khelif, spiegando di non essersela “più sentita” di combattere a causa della troppa forza dei pugni dell’avversaria. Quest’ultima, affetta da iperandrogenismo, quindi con valori di testosterone al di sopra della norma, è stata accusata in coro da parte delle forze politiche di maggioranza di non essere una donna e che di conseguenza l’incontro era falsato in partenza. Il Comitato Olimpico Internazionale, forte del parere di scienziati genetisti autorevoli, anche italiani, sostiene esattamente il contrario, tant’è che l’atleta algerina per sei anni ha combattuto in competizioni di livello internazionale, peraltro ottenendo risultati poco lusinghieri e senza che nessuno fino ad oggi mettesse in dubbio la sua identità di genere. La follia “parolaia” sta nel fatto che le prese di posizione di alcuni esponenti politici, i quali hanno decisamente deragliato dai binari propri della moderazione e della responsabilità istituzionale, rischiano in qualche modo di incrinare i rapporti economici con l’Algeria, Paese piuttosto suscettibile su temi di questa natura. Vale la pena di rammentare che dopo l’inizio della guerra in Ucraina, la Nazione nordafricana ha sostituito la Russia come primo fornitore di gas naturale dell’Italia. Giusto per la cronaca e per colmo di paradosso, rammento che l’Algeria non riconosce la transizione di genere e l’omosessualità è considerata un reato perseguibile penalmente. Ma per i suoi connazionali Imane è semplicemente una donna coraggiosa e tutti i media dopo le polemiche hanno postato le sue foto di bambina sorridente, figlia di una famiglia poverissima, che sta inseguendo il sogno della sua vita. Il corrispondente di Reporter Senza Frontiere ad Algeri è stato molto duro nei confronti di un nostro vice premier, scrivendo che egli preferirebbe dei Giochi olimpici hitleriani, riservati esclusivamente ai colonialisti bianchi, difensori della purezza della razza. Ma forse, il bello dei sistemi democratici è proprio questo: la facoltà, concessa a tutti, di poter dire “pirlate” a ruota libera senza doverne pagare il conto, perché per entrare in Parlamento non viene richiesto il QI e neanche, come per gli sportivi, il controllo antidoping. Forse, legislatori illuminati potrebbero ad un piccolo correttivo in quanto ad eleggibilità, ma a ben pensare una tale misura si rivelerebbe discriminatoria, in quanto ampie fasce di aventi diritto verrebbero ingiustamente private del diritto di rappresentanza.

Sempre in tema di follia, questa volta encomiabile perché attuata con nobili intenti pacificatori, è d’obbligo segnalare il selfie che si sono scattati i giocatori di tennis da tavolo della Corea del Nord e della Corea del Sud a Parigi. Gli atleti delle due Nazioni, che hanno vinto la medaglia d’argento e quella di bronzo, erano insieme sullo stesso podio e hanno posato sorridenti per una foto scattata dal sudcoreano Lim Jong-hoon, c diventata virale in poco tempo. Non oso pensare alla reazione delle Autorità di Pyongyang e a quella dell’iperlipidico dittatore al ritorno in Patria degli atleti, ma non vorrei essere nei loro panni. L’ultima della serie potremmo definirla la follia della colpevolizzazione, la cui conseguenza è la totale marginalizzazione a cui viene condannato il reo, a prescindere da quale sia la natura della sua colpa. È quanto accaduto all’ultima rotazione del concorso di ginnastica artistica a squadre maschile: la Cina è avanti di 3,2 punti rispetto al Giappone e sembra imprendibile. Ma, come a volte capita nello sport, succede un evento imprevedibile visto il precedente andamento della gara: Su Weide, il ginnasta di punta del suo team, perde la presa nell’ultimo esercizio alla sbarra e cade al suolo rovinosamente. Poi riprende l’esercizio, ma cade di nuovo. Ottiene un disastroso 11,600, compromettendo con questo punteggio le ottime prove che i compagni contemporaneamente stanno eseguendo negli altri attrezzi. Il Giappone invece non sbaglia niente e sorpassa i cinesi nella corsa per l’oro. Il 24enne Su Weide appare distrutto dopo l’errore, ma l’immagine che colpisce maggiormente è la reazione spietata dei suoi compagni di squadra, che si alzano dai loro posti e si allontanano da lui senza neanche un gesto di consolazione o empatia. Il virus mentale indotto da ogni regime autocratico è ben visibile in questa scelta, così come la sua traduzione pratica: non c’è scusa o comprensione possibile per chi sbaglia, ma solo un posto lontano dagli altri per evitare il diffondersi del contagio. L’errore diventa inevitabilmente rifiuto, scarto da allontanare per preservare l’integrità del sistema, nei casi e nei contesti ritenuti più gravi, vero e proprio tradimento della Patria. Se questi sono uomini …