La classe politica italiana è solita ricorrere al cosiddetto “marketing politico”, dipingendo una realtà solo apparentemente positiva

Di: Andrea Panziera

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Non costituisce ormai motivo di scandalo l’utilizzo da parte della classe politica di argomenti che hanno poco riscontro con la realtà, ovvero di dati parzialmente positivi spesso estrapolati da un contesto che, nel suo insieme, racconta tutt’altro. Questa pratica, conosciuta e adottata in tutto il mondo, fa parte del c.d. “marketing politico”; di volta in volta viene usata per persuadere la popolazione che le cose vadano meno peggio di quanto possa apparire e, non di rado, per cementare le forze politiche al Governo quando una o alcune iniziano a porre paletti su singole questioni o ad avanzare distinguo potenzialmente dirompenti. È il caso del nostro Paese,” hic et nunc”? In un certo senso è così, se il reiterare ogni giorno insistiti proclami su successi economici più presunti che effettivi va di pari passo con la contemporanea presa di distanza dall’ adozione di provvedimenti non proprio digeribili per questo o quel partito. Enfatizzare quello che c’è di apparentemente positivo, per mettere la sordina a divisioni, liti “intra moenia”, annunci in pompa magna di misure epocali che sono destinate inevitabilmente ad arenarsi dopo la posa simbolica della prima ed ultima pietra. Non siamo certo gli unici a comportarsi così, ma probabilmente da noi questo “modus operandi” rappresenta un marchio di fabbrica della nostra classe politica, a cui hanno cercato di sottrarsi solo i due Esecutivi tecnici degli ultimi 12 anni. Ciò premesso, come interpretare e, soprattutto, che valore dare al continuo canto di vittoria riguardo i mirabolanti dati della nostra crescita economica, incommensurabilmente migliore di quella dei nostri principali partner europei? Siamo a metà anno e forse sarebbe opportuno attendere i riscontri del terzo trimestre per avere una stima più attendibile. Allo stato attuale, le previsioni divergono di qualche decimale di punto, da un minimo dello 0,7-0,8% finale, fino all’1%-1,1% nelle valutazioni più ottimistiche. Alcuni Paesi, come Francia, Germania e altri minori, avranno performance peggiori delle nostre; Spagna, ma non solo, molto migliori. Risultato buono, migliore delle aspettative, in linea le attese? Preso così, senza ulteriori approfondimenti, pare tutto sommato soddisfacente, anzi discreto. Ma, come premesso poc’anzi, per esprimere giudizi non dettati dalla fretta oppure contagiati dalla parzialità dei numeri e magari dalla partigianeria, appare importante esaminare e poi valutare tutto il contesto. Non prima di un doveroso preambolo, riguardante la scaturigine dei dati. Essi devono provenire da fonti autorevoli, usati in modo esaustivo e senza doppi fini, in grado di fornire un quadro il più possibile rappresentativo della nostra situazione reale. Allora, chi può assolvere a questo compito in modo migliore dell’Istat e/o di altri Uffici Studi accreditati, come quelli di Organismi internazionali, Istituzioni di alto livello, pubbliche e private? Stabilito il metodo, scendiamo ora nel merito e vediamo cosa ci dicono i numeri. La crescita del PIL nel 1° trim. 2024 è stata pari al +0,3%, trainata dai consumi interni, dall’export e dagli investimenti. Il contributo degli altri settori, in primis ma non solo quello industriale, è stato nullo se non addirittura negativo. il tasso di occupazione è aumentato di circa mezzo punto, ma questo trend non ha coinvolto tutte le classi d’età, escludendo quella degli under 35. La sola, incontestabile, buona notizia riguarda l’inflazione, con l’indice dei prezzi al consumo che nei primi 6 mesi è salito solo dello 0,9%, molto meno della media europea. Relativamente al buon andamento delle esportazioni, questo dato è ascrivibile esclusivamente a quelle extra UE mentre le vendite nell’Unione Europea presentano un segno negativo. A luglio, come peraltro accade da alcuni mesi , peggiora l’indice di fiducia delle imprese, in particolare di quelle manifatturiere, che si aspettano una seconda parte dell’anno piuttosto problematica, a motivo di evidenti criticità nella raccolta di nuovi ordini. Anche il settore del commercio prevede un calo delle vendite. Risulta in controtendenza è la fiducia dei consumatori, alimentata molto probabilmente dal raffreddamento dei prezzi dei principali beni di consumo. L’incidenza del Debito Pubblico sul PIL, in leggero calo nel 2023, dovrebbe riportarsi a fine anno a ridosso del 140%, rispetto al 65% della Germania, del 108% della Spagna e del 110% della Francia. Ciò significa che, inevitabilmente, ogni progetto di spesa, sia quella corrente che in conto capitale, potrà essere attuato solo in ambito PNRR, essendo precluso qualsiasi ricorso a nuovo deficit, che inevitabilmente si tramuterebbe in nuovo debito nel 2025. Un altro aspetto del nostro sistema economico ben evidenziato dall’Istat è l’impatto su di esso dalla crescente integrazione dei processi produttivi. Tradotto: quanto incidono i beni e servizi importati sulla struttura dei costi delle nostre imprese? In questo campo la Cina assume un ruolo sempre più rilevante, con un +13,4%. Abbiamo già accennato alle dinamiche del mondo del lavoro in termini di trend occupazionali. Ma relativamente ai redditi percepiti come si configura il quadro d’assieme? Le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate nel triennio 2021-2023 in misura molto minore dei prezzi (+4,7% contro un +17,3%) e solo nel primo trimestre dell’anno in corso mettono a segno un parziale recupero del +1,8%. Analogo discorso si può fare per il reddito disponibile per le Famiglie: in termini nominali è cresciuto del 16%, mentre in valore reale è calato dell’1,5%. Le conseguenze di questi andamenti divergenti sono chiaramente identificate dall’Istat: rispetto ad una decina di anni fa, il rischio-povertà che incombe sugli occupati è passato dal 9,5% all’11,5% dei lavoratori. Solo la Spagna presenta un tasso peggiore del nostro. Da ultimo, il dato più preoccupante: dieci anni fa le famiglie in condizione di assoluta indigenza erano il 6,2% del totale, oggi sono l’8,5%. In questa fredda percentuale sono ricomprese oltre 2 milioni di nuclei familiari, quasi 6 milioni di persone, circa il 10% della nostra popolazione, fra le quali poco meno di un milione e mezzo di minorenni. I numeri sono questi ed è su di essi che bisogna ragionare, esprimere giudizi ed avanzare proposte; col presupposto che esistono limiti di Bilancio invalicabili ed obiettivi a medio termine non eludibili di contenimento/riduzione di deficit e debito. Il resto, tutto il resto, sono parole dal sen fuggite, proclami “ad usum delphini” , dichiarazioni prive di ogni consistenza fattuale. Insomma, marketing politico di bassa lega, fumo negli occhi di illusionisti che si fanno paladini di revisionismi autocratici retaggio di passati indegni, corifei di presenti intolleranti e sanguinari, perché non comprendono e non sarebbero in grado di gestire il futuro con le tutte sue molteplici complessità.