Un timore diffuso: i prossimi mesi, e forse i prossimi anni, saranno molto più duri e densi di incognite rispetto a quelli della pandemia

Di: Andrea Panziera

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Qualche giorno fa, nel corso di una lezione, alcuni studenti mi hanno posto una domanda alla quale, mio malgrado, ho risposto con un’altra domanda: “Volete una risposta rassicurante o una realistica”?

Come i lettori possono ben immaginare, mi veniva chiesta una opinione sui possibili scenari della guerra in Ucraina e sul presumibile impatto relativamente alle loro esistenze.

Ho scelto la seconda opzione, per un dovere di onestà nei loro confronti e per invitarli ad affrontare in modo consapevole le difficoltà che molto probabilmente dovranno sostenere. Spero con tutto il cuore di sbagliarmi, ma temo che le prossime settimane, i mesi e forse i prossimi anni saranno incommensurabilmente molto più duri, problematici e densi di incognite rispetto a quelli certo non facili della pandemia.

Non parlo solo delle ormai evidenti incognite in campo economico, relative al rischio di tagli nelle forniture di gas e petrolio, alla carenza di materie prime agricole, di fertilizzanti, di prodotti intermedi e di tutti quei beni che importiamo da Ucraina e Russia. Mi riferisco invero alla non remota eventualità che i Paesi europei vengano in qualche modo coinvolti nel conflitto, con conseguenze inimmaginabili.

Da cosa scaturisce questa fosca previsione? Da una semplice considerazione, che fotografa la sostanza di quanto sta accadendo dal 24 febbraio scorso. Quando si superano limiti inviolabili e si decide di abbattere tutti i ponti alle nostre spalle, l’unica opzione praticabile resta quella di proseguire alla massima velocità sulla strada intrapresa, perché abbiamo di fatto cancellato ogni differente possibilità.

Qualsiasi altro gesto, intenzione, parola, assume l’inequivocabile significato di una surreale messinscena, una fittizia evocazione di un proponimento che è palesemente contraddetto dalle azioni concrete che vengono attuate day by day sul terreno.

Come si può credibilmente parlare di pace mentre si radono al suolo intere città, si ammazzano civili, si lasciano senza cibo ed acqua bambini, anziani, malati, disabili?

Ogni persona dotata di una seppur minima dose di buon senso è in grado di capire che se veramente si vuole discutere di pace è preliminarmente necessaria una tregua. Non ci si può sedere ad un tavolo e negoziare un accordo mentre ogni secondo aumenta la conta dei morti.

Ad oggi, questa ipotesi semplicemente non esiste. Di più. Ogni giorno che passa il conflitto assume le sembianze di una carneficina in crescita esponenziale e per rafforzarne gli effetti vengono impiegati strumenti di distruzione di massa mai prima utilizzati vantandone la loro efficacia mortifera.

Chi non soccombe sotto questo inferno di missili, bombe e proiettili è sequestrato e, dopo essere stato privato dei documenti, deportato in territorio ostile.

Kant diceva che gli uomini “devono essere guidati dal pessimismo della ragione e dall’ottimismo della volontà” e che ”le nostre massime certezze sono il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi”.

Purtroppo al momento non vedo altro che un orizzonte molto buio, con una volontà di pace del tutto assente e per quanto riguarda la morale, beh, penso che per non pochi c.d. “Potenti della Terra” essa sia considerata alla stregua di un rifiuto organico di cui liberarsi il prima possibile.