Vent’anni di vita, di cui ben 17 spesi nello studio del violino: una passione, quella di Giuseppe Gibboni, che si è tramandata di padre in figlio
Di: Maria Mele
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Quando incontri una bella persona, una persona speciale lo capisci al volo. Quella franchezza dello sguardo, quel sorriso aperto, quell’universo valoriale forte, pulito, autentico che traspare da ogni parola spesa, da ogni concetto espresso, e spesso anche da quanto si evita di dire. L’incontro con Giuseppe è stato così.
20 anni di vita di cui ben 17 spesi nello studio del violino! Una passione, quella per la musica e in particolare per il violino, che si è tramandata di padre in figlio e che Giuseppe ha sviluppato poi con incontri fortunati – e meritati – con grandi maestri, primo fra tutti in ordine di tempo suo padre, che resta il suo punto di riferimento costante, anche se nel frattempo Giuseppe è stato allievo di grandissimi come il Maestro Aiello al Conservatorio di Salerno, il maestro Accardo all’Accademia Stauffer di Cremona, il maestro Berman all’Accademia Chigiana di Siena e attualmente il Maestro Amoyal al Mozarteum di Salisburgo. Una lunga storia di passione, di progetti, di impegni e di responsabilità, ma soprattutto di tanto rispetto e gratitudine per tutti i suoi maestri.
A ottobre di quest’anno la vittoria dell’ambitissimo premio Niccolò Paganini di Genova, che ha laureato violinisti di fama mondiale e che torna in Italia dopo 24 anni di assenza, lo trasporta nell’olimpo dei violinisti. Nella storia del concorso, giunto alla 56ma edizione, solo tre italiani sono riusciti a scrivere il proprio nome nell’albo d’oro dei vincitori.
Giuseppe che ha significato per te la vittoria del Premio Paganini?
Un onore immenso! Credo che questa mia vittoria sia importante non solo per me ma per la scuola violinistica italiana. E’ un premio storico e il suo albo d’oro merita di avere qualche violinista italiano in più. Sono davvero onorato, per me è una grandissima responsabilità, anche perché il primo italiano a vincerlo, Salvatore Accardo, è stato il mio maestro. Possiamo dire che è un cerchio che si chiude. In realtà devo ancora realizzare pienamente perchè quasi sopraffatto da quanto si è verificato dopo in rapida successione: l’imprevisto debutto a Santa Cecilia, uno dei parterre più prestigiosi del paesaggio musicale italiano e l’invito al Quirinale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non è affatto scontato che un giovane musicista venga invitato ad un incontro con la maggiore carica dello Stato. La cosa mi ha molto meravigliato e onorato. Sono grato al Presidente che ha mostrato di essere attento a noi giovani artisti.
Perchè ti ha meravigliato?
Noi Italiani abbiamo scritto pagine di storia della musica, eravamo noi a fare scuola venivano da tutto il mondo per studiare in Italia e oggi, invece, i migliori musicisti italiani sono spesso costretti a lavorare e a studiare all’estero. Non per fare della facile demagogia, ma in Italia potremmo e dovremmo vivere solo di arte e di cultura e invece questo non accade. Quando si parla di musica pensiamo a Sanremo come al palco più importante d’Italia, con tutto il rispetto per la manifestazione canora e gli artisti della musica leggera. La prima viola della scala Danilo Rossi ha recentemente dichiarato che in Italia, quando si parla di sport, soprattutto se popolare come il calcio, siamo pronti ad accogliere gli atleti al Quirinale… Non avviene lo stesso per gli artisti della musica classica. Ecco perché la cosa mi ha piacevolmente meravigliato.
Cosa si può fare a tuo modo di vedere, per cambiare questa situazione?
E’ necessario che si torni a dare alla musica il suo giusto valore formativo. Bisogna cominciare a conoscere e studiare musica sin dai primi anni della formazione scolastica. Se non si conosce la musica, come si può amarla? In questo senso io credo che il ruolo delle istituzioni sia fondamentale. Io ripartirei da qui, dall’insegnamento sin dalle scuole elementari e proverei a riportare l’Italia al suo antico splendore, con le scuole prestigiose, con i maestri migliori e le orchestre fisse. Ma questo non lo dico io. Il maestro Accardo si batte da anni per i diritti della musica e dei musicisti, tutti i maggiori maestri italiani stanno lavorando a questo, tutti i nostri musicisti chiedono che la formazione musicale torni nelle scuole e noi dobbiamo adoperarci concretamente per la sostenibilità e la rinascita culturale e musicale del nostro Paese, ma ancora non basta: il sostegno delle istituzioni diventa fondamentale!
Stiamo parlando di musica ma ancora non ti ho chiesto cosa rappresenta la musica per te?
La musica è stata la mia compagna fedele sin da quando avevo 3 anni. Ho iniziato a studiare violoncello e poi violino a quell’età, sono cresciuto con la musica. La mia è una famiglia di musicisti, la mia compagna è una musicista (la talentuosa Carlotta Dalia, chitarrista). La musica è la mia passione, il mio hobby e il mio lavoro. E mi ritengo molto fortunato perchè lavoro divertendomi. Il mondo della musica offre molte soddisfazioni, anche economiche, ad alti livelli, questo non significa che non implichi fatica, impegno, studio continuo ed esercizio costante per l’artista che viene ripagato dalla passione che lo anima. La passione è tutto per noi artisti, una fiamma che alimenta la nostra arte.
Il tuo talento musicale ti ha portato verso il violino. Quando hai compreso che il tuo hobby si stava tramutando in un lavoro?
Per me lavorare significa avvertire la responsabilità del risultato finale. Questo è accaduto sin dai primi concerti, poco più che dodicenne. Il talento è una predisposizione naturale, certo, ma senza studio e impegno e costanza giornaliera non si approda a nulla.
Un’iniziazione alle responsabilità del mondo del lavoro molto precoce, credi che questo abbia rubato qualcosa al bimbo Giuseppe e poi al Giuseppe adolescente?
La musica presa seriamente ti porta a fare delle scelte. Ti cambia la vita e modifica la tua personalità. Io non credo in assoluta sincerità di aver perso nulla e, se è accaduto, non me ne sono accorto e mi ritengo oggi fortunato di chi sono e dove sono. Ho goduto la mia infanzia, ho vissuto i miei passatempo, i miei amici. Ho tantissimi hobby e riesco a coltivare le mie passioni: praticare sport, trascorrere del tempo libero, viaggiare. Non è impossibile, ho giornate dense naturalmente, ma il tempo si trova. Ho imparato ad organizzarmi! La musica mi ha aiutato a maturare, forse più in fretta degli altri, ma credo che ci sia anche un aspetto caratteriale da tenere presente.
Musicista in una famiglia di musicisti, una scelta obbligata, per così dire?
Crescere in una famiglia di musicisti naturalmente aiuta a indirizzarsi verso la musica, forse un piccolo condizionamento inconscio ci sarà stato, ma io mi sono sempre sentito libero nelle mie scelte.
Tra le cose fondamentali che ti insegna lo studio della musica c’è il rispetto nei confronti dell’altro, altrimenti non c’è armonia. Questo rispetto nei confronti di me e delle mie scelte ha sempre guidato anche la mia famiglia. Mio padre è stato molto concreto nell’approccio allo studio, ma anche molto bravo a non far pesare mai il rapporto genitore e insegnante.
20 anni ed essere già all’apice: cosa c’è per Giuseppe dopo il premio Paganini?
Quando ero bambino il mio sogno era solo di suonare il violino, mio padre è un violinista e io volevo fare lo stesso. Poi ho sognato di vincere un premio e ora sogno di potermi esibire nelle sale da concerto più famose con le orchestre più importanti: il Teatro alla Scala di Milano, la Carnegie Hall di New York, i Berliner Philharmoniker… Il premio Paganini mi ha regalato una visibilità che non si ottiene facilmente e che sono certo aiuterà il mio percorso.
Il 2021 si è concluso con una lunga serie di concerti in Italia e all’estero, tra cui quello del 19 dicembre al Quirinale al cospetto del nost
20 anni di vita di cui ben 17 spesi nello studio del violino! Una passione, quella per la musica e in particolare per il violino, che si è tramandata di padre in figlio e che Giuseppe ha sviluppato poi con incontri fortunati – e meritati – con grandi maestri, primo fra tutti in ordine di tempo suo padre, che resta il suo punto di riferimento costante, anche se nel frattempo Giuseppe è stato allievo di grandissimi come il Maestro Aiello al Conservatorio di Salerno, il maestro Accardo all’Accademia Stauffer di Cremona, il maestro Berman all’Accademia Chigiana di Siena e attualmente il Maestro Amoyal al Mozarteum di Salisburgo. Una lunga storia di passione, di progetti, di impegni e di responsabilità, ma soprattutto di tanto rispetto e gratitudine per tutti i suoi maestri.
A ottobre di quest’anno la vittoria dell’ambitissimo premio Niccolò Paganini di Genova, che ha laureato violinisti di fama mondiale e che torna in Italia dopo 24 anni di assenza, lo trasporta nell’olimpo dei violinisti. Nella storia del concorso, giunto alla 56ma edizione, solo tre italiani sono riusciti a scrivere il proprio nome nell’albo d’oro dei vincitori.
Giuseppe che ha significato per te la vittoria del Premio Paganini?
Un onore immenso! Credo che questa mia vittoria sia importante non solo per me ma per la scuola violinistica italiana. E’ un premio storico e il suo albo d’oro merita di avere qualche violinista italiano in più. Sono davvero onorato, per me è una grandissima responsabilità, anche perché il primo italiano a vincerlo, Salvatore Accardo, è stato il mio maestro. Possiamo dire che è un cerchio che si chiude. In realtà devo ancora realizzare pienamente perchè quasi sopraffatto da quanto si è verificato dopo in rapida successione: l’imprevisto debutto a Santa Cecilia, uno dei parterre più prestigiosi del paesaggio musicale italiano e l’invito al Quirinale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non è affatto scontato che un giovane musicista venga invitato ad un incontro con la maggiore carica dello Stato. La cosa mi ha molto meravigliato e onorato. Sono grato al Presidente che ha mostrato di essere attento a noi giovani artisti.
Perchè ti ha meravigliato?
Noi Italiani abbiamo scritto pagine di storia della musica, eravamo noi a fare scuola venivano da tutto il mondo per studiare in Italia e oggi, invece, i migliori musicisti italiani sono spesso costretti a lavorare e a studiare all’estero. Non per fare della facile demagogia, ma in Italia potremmo e dovremmo vivere solo di arte e di cultura e invece questo non accade. Quando si parla di musica pensiamo a Sanremo come al palco più importante d’Italia, con tutto il rispetto per la manifestazione canora e gli artisti della musica leggera. La prima viola della scala Danilo Rossi ha recentemente dichiarato che in Italia, quando si parla di sport, soprattutto se popolare come il calcio, siamo pronti ad accogliere gli atleti al Quirinale… Non avviene lo stesso per gli artisti della musica classica. Ecco perché la cosa mi ha piacevolmente meravigliato.
Cosa si può fare a tuo modo di vedere, per cambiare questa situazione?
E’ necessario che si torni a dare alla musica il suo giusto valore formativo. Bisogna cominciare a conoscere e studiare musica sin dai primi anni della formazione scolastica. Se non si conosce la musica, come si può amarla? In questo senso io credo che il ruolo delle istituzioni sia fondamentale. Io ripartirei da qui, dall’insegnamento sin dalle scuole elementari e proverei a riportare l’Italia al suo antico splendore, con le scuole prestigiose, con i maestri migliori e le orchestre fisse. Ma questo non lo dico io. Il maestro Accardo si batte da anni per i diritti della musica e dei musicisti, tutti i maggiori maestri italiani stanno lavorando a questo, tutti i nostri musicisti chiedono che la formazione musicale torni nelle scuole e noi dobbiamo adoperarci concretamente per la sostenibilità e la rinascita culturale e musicale del nostro Paese, ma ancora non basta: il sostegno delle istituzioni diventa fondamentale!
Stiamo parlando di musica ma ancora non ti ho chiesto cosa rappresenta la musica per te?
La musica è stata la mia compagna fedele sin da quando avevo 3 anni. Ho iniziato a studiare violoncello e poi violino a quell’età, sono cresciuto con la musica. La mia è una famiglia di musicisti, la mia compagna è una musicista (la talentuosa Carlotta Dalia, chitarrista). La musica è la mia passione, il mio hobby e il mio lavoro. E mi ritengo molto fortunato perchè lavoro divertendomi. Il mondo della musica offre molte soddisfazioni, anche economiche, ad alti livelli, questo non significa che non implichi fatica, impegno, studio continuo ed esercizio costante per l’artista che viene ripagato dalla passione che lo anima. La passione è tutto per noi artisti, una fiamma che alimenta la nostra arte.
Il tuo talento musicale ti ha portato verso il violino. Quando hai compreso che il tuo hobby si stava tramutando in un lavoro?
Per me lavorare significa avvertire la responsabilità del risultato finale. Questo è accaduto sin dai primi concerti, poco più che dodicenne. Il talento è una predisposizione naturale, certo, ma senza studio e impegno e costanza giornaliera non si approda a nulla.
Un’iniziazione alle responsabilità del mondo del lavoro molto precoce, credi che questo abbia rubato qualcosa al bimbo Giuseppe e poi al Giuseppe adolescente?
La musica presa seriamente ti porta a fare delle scelte. Ti cambia la vita e modifica la tua personalità. Io non credo in assoluta sincerità di aver perso nulla e, se è accaduto, non me ne sono accorto e mi ritengo oggi fortunato di chi sono e dove sono. Ho goduto la mia infanzia, ho vissuto i miei passatempo, i miei amici. Ho tantissimi hobby e riesco a coltivare le mie passioni: praticare sport, trascorrere del tempo libero, viaggiare. Non è impossibile, ho giornate dense naturalmente, ma il tempo si trova. Ho imparato ad organizzarmi! La musica mi ha aiutato a maturare, forse più in fretta degli altri, ma credo che ci sia anche un aspetto caratteriale da tenere presente.
Musicista in una famiglia di musicisti, una scelta obbligata, per così dire?
Crescere in una famiglia di musicisti naturalmente aiuta a indirizzarsi verso la musica, forse un piccolo condizionamento inconscio ci sarà stato, ma io mi sono sempre sentito libero nelle mie scelte.
Tra le cose fondamentali che ti insegna lo studio della musica c’è il rispetto nei confronti dell’altro, altrimenti non c’è armonia. Questo rispetto nei confronti di me e delle mie scelte ha sempre guidato anche la mia famiglia. Mio padre è stato molto concreto nell’approccio allo studio, ma anche molto bravo a non far pesare mai il rapporto genitore e insegnante.
20 anni ed essere già all’apice: cosa c’è per Giuseppe dopo il premio Paganini?
Quando ero bambino il mio sogno era solo di suonare il violino, mio padre è un violinista e io volevo fare lo stesso. Poi ho sognato di vincere un premio e ora sogno di potermi esibire nelle sale da concerto più famose con le orchestre più importanti: il Teatro alla Scala di Milano, la Carnegie Hall di New York, i Berliner Philharmoniker… Il premio Paganini mi ha regalato una visibilità che non si ottiene facilmente e che sono certo aiuterà il mio percorso.
Il 2021 si è concluso con una lunga serie di concerti in Italia e all’estero, tra cui quello del 19 dicembre al Quirinale al cospetto del nostro Presidente della Repubblica, ma questo nuovo anno mi porterà una grande opportunità: suonare il famoso violino appartenuto a Niccolò Paganini, il mitico Guarneri del Gesù, da lui soprannominato “il mio Cannone violino” per l’eccezionale potenza sonora.
Un’emozione immensa, non sarà facile, ma io non vedo l’ora!
Articolo originale su Excellence Magazine Luxury