di Andrea Panziera.
Non nego che la comunicazione sia una delle componenti decisive per il successo nell’attività politica. In molti ci hanno costruito carriere importanti e durature a dispetto del vuoto pneumatico di quasi tutte le loro idee o, cosa più grave, della palese ignoranza dei temi di cui si sarebbero dovuti occupare. Quello che trovo insopportabile è che la comunicazione diventi sempre più spesso mera propaganda, che contrabbanda la protervia decisionista ostentata solo per fini di consenso elettorale per un progetto, in realtà inesistente, che garantirebbe una presunta e definitiva soluzione dei problemi.
Questa riflessione trova la sua scaturigine nelle vicende della Sea Watch e delle altre ONG, che da giorni stanno occupando le prime pagine dei quotidiani e l’apertura di ogni telegiornale. Non penso che Carola Rackete sia una moderna Antigone né una giovane ricca e sbruffoncella; catalogarla come eroina o criminale è un esercizio che non mi appassiona e ritengo che queste categorie siano lontane anni luce dalla realtà e dalle sue intenzioni. Sul tema immigrazione ognuno può pensarla come gli pare, con verità incontrovertibili: che l’Europa brilla da sempre per la sua assenza, che ci è stato scaricato addosso un peso economico e sociale difficile da sostenere, che non siamo oggettivamente in grado di aprire le porte a tutti i disperati che sbarcarono sulle nostre coste.
Tutto giusto e tutto vero. Ma se ciò si traduce e serve unicamente per una guerra alle ONG, additate come braccio operativo terminale degli scafisti trafficanti di esseri umani, ebbene si sta solo sollevando un gran polverone allo scopo di nascondere alla gente la realtà. Innanzitutto, come sempre, i numeri. Solo nell’ultimo mese a Lampedusa sono sbarcati con mezzi di fortuna circa il quintuplo dei migranti salvati dalla Sea Watch e dalle altre ONG, in tutto 500 persone circa; a parte rare eccezioni rimpatriarli sarà praticamente impossibile per la mancata implementazione dei trattati bilaterali con i Paesi d’origine. Va inoltre ricordato che i nostri obblighi in materia di salvataggio e accoglienza vanno commisurati a quanto previsto dal Trattato di Dublino, la cui genesi data 1990 (governo Andreotti) e 2003 (governo Berlusconi); nei consessi in cui nell’ultimo anno si è discusso di una sua modifica l’Italia non è mai stata rappresentata ai massimi livelli, quasi a significare la nostra indifferenza alla questione.
Da ultimo, al di là dei toni roboanti, la dinamica di quanto accaduto in questi giorni ricorda analoghi episodi del passato ed in quei casi la contesa giudiziaria contro le navi che avevano violato le disposizioni allora vigenti vide il nostro Governo soccombere. Altri tempi ed altre leggi, si dirà. Forse, ma con una postilla: non dimentichiamo che oltre alle normative interne esiste anche una giurisprudenza internazionale ed ogni Stato che si definisce “di diritto “ non la può ignorare, pena un isolamento ancora più pernicioso di quello attuale.